Un virus non è la Cina
Wuhan (Cina). Le mascherine servono a tutelare la persona da agenti esterni che potrebbero intaccare in qualche modo l’organismo. Una precauzione, niente di più. In certi casi opportune, purché non si trasformi tutto in fobia di un contagio globale.
Lo scorso mese, infatti, le autorità sanitarie cinesi hanno indicato un nuovo ceppo di Coronavirus mai identificato prima nell’uomo: il 2019-nCoV. L’hanno associato a un focolaio di casi di polmonite registrati nella città di Wuhan, nella Cina centrale. Si tratta di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie anche gravi.
I ragazzi di una scuola di Wuhan (Cina), pur consapevoli che «qualcosa c’è nell’aria», non né fanno un dramma e da bravi studenti si attengono alle regole di comportamento impartite dai dirigenti scolastici. Ogni nuovo virus viene prontamente studiato, isolato e combattuto con nuovi farmaci nel frattempo prodotti. Non è la prima volta che succede. Certo, bisogna fare presto per arginare il contagio e bloccare i già numerosi decessi.
Virologi di tutto il mondo sono impegnati ai massimi livelli per debellare il virus. Il nostro comportamento deve essere, come per le brutte influenze che ogni anno ci troviamo ad affrontare e che mietono, se confrontati i dati, molti più decessi di quelli finora riscontrati dal Coronavirus, di cautela e prevenzione.
Giusto fare alcuni controlli alle frontiere, su aeroporti e porti, ma senza creare eccessivo allarmismo. Perché, nell’era dei social media, la deformazione della realtà rischia di condizionare l’opinione pubblica, fino a influenzare scelte economiche e politiche. La pandemia più pericolosa è la paura. Che crea intolleranza, rifiuto. E i cinesi rischiano, senza alcuna colpa, di esserne doppiamente vittime. E questo non è giusto.