Una famiglia per gli orfani di Isiro
Sonia «clicca» sulla cartella «orfanotrofio Isiro» nel desktop del suo computer e in un attimo sul video appaiono decine di foto di bambini di colore, sorridenti, ordinati, alcuni con improbabili magliette con le scritte in italiano. Intorno, poche cose essenziali: qualche sedia, qualche letto, qualche ciotola di plastica colorata. Volti e ambienti quotidiani, finestre su una miseria infinita e dignitosa, provenienti da uno dei Paesi più poveri del mondo, la Repubblica democratica del Congo. Sonia Mansutti è appena tornata dall’estremo Nord-est del Paese, quasi al confine con l’Uganda. Ci va praticamente tutti gli anni perché è a capo di una organizzazione, la Sos (Solidarietà organizzazione sviluppo), che si occupa di infanzia abbandonata.
Insieme a lei, Caritas Antoniana ha costruito a Isiro, capoluogo della regione dell’Haute Uelè, una grande casa famiglia con tutti i servizi, che è stata uno dei progetti 13 giugno del 2007.
I volti impressi sul video Sonia li conosce uno a uno: «Questa è Monique. È arrivata all’orfanotrofio a sei mesi, in pessime condizioni. La madre, abbandonata dal primo marito perché sterile, si era unita a un altro uomo ed era rimasta incinta della piccola. Alla notizia, il marito l’aveva picchiata fino a farla morire. La piccola era nata settimina dalla madre in agonia. Presentava nel corpo fratture e contusioni che ne hanno compromesso lo sviluppo».
Un altro volto sorridente, un’altra storia: «Josephine ha undici mesi, è stata abbandonata da tutta la famiglia perché ritenuta enfant sorcière, cioè una piccola strega. A lei è attribuita la responsabilità della morte della madre, deceduta dopo il parto». La Grace, letteralmente «la grazia», nove mesi, è un tripudio di ricciolini neri su un visetto tondo. «L’hanno trovata accanto alla madre, morta da due giorni. Il padre non se ne vuole prender cura». Sono alcuni dei quarantaquattro bambini che da settembre verranno accolti nella nuova struttura, finanziata dalla Caritas Antoniana. La casa famiglia sarà gestita da suor Noëlle, congolese, delle domenicane di santa Caterina da Siena, che già sta accudendo i piccoli in un edificio fatiscente senza acqua e servizi, a sette chilometri dalla città.
Msa. Come mai ci sono voluti quasi quattro anni per concludere il progetto?
Mansutti. Perché operare in questa zona è difficilissimo. È una regione completamente abbandonata persino dalle organizzazioni umanitarie. Il servizio d’acqua è costoso e intermittente, non c’è luce neanche a Isiro, che pure è un capoluogo di regione. Non ci sono attività produttive, né mezzi. Gli unici attrezzi qui arrivano dalla Cina, ma non valgono nulla. Una carriola ci è durata appena un giorno e poi si è sventrata. E così ho dovuto rifornirmi in Uganda – trasportando tutto in aereo perché non ci sono strade – con difficoltà e costi elevatissimi.
È stato difficile anche reperire maestranze?
Decisamente. Quelli che lì chiamano «ingegneri» hanno frequentato due anni di scuola superiore e fanno fatica a leggere un disegno tecnico. Mio marito, che è ingegnere, ha dovuto passare lì mesi per portare avanti i lavori. Sono venuti dall’Italia persino gli elettricisti, due generosi volontari, con tanto di attrezzature e materiale. È stato davvero molto difficile. A volte avevamo la tentazione di mollare, ma c’è un bisogno talmente grande da rendere la cosa inaudita. La gente viene da noi e ci dice: «Meno male che siete arrivati, qui per noi non c’è nessuno. Raccontate a tutti in Europa come viviamo».
La lunga scia di guerre che ha colpito il Paese quasi continuativamente dal 1996 al 2003 è davvero finita?
Dipende dalle zone. In alcune resistono ancora frange di ribelli, pronti a tutto; razziano e uccidono sommariamente. Ma anche se non si verificano più violenze eclatanti in molte parti del Congo, le conseguenze della guerra continuano a mietere nel Paese circa mille vittime al giorno, a causa di un servizio sanitario distrutto, delle strade inesistenti, della miseria estrema. I nostri stessi bambini sono orfani dell’aids, delle violenze dei ribelli, dell’assenza di ogni minimo servizio, dell’ignoranza generalizzata a causa dello smantellamento della scuola.
Che prospettive ci sono?
Per ora pochissime. Lo Stato sembra assente. La gente vorrebbe reagire, ma come può se non ha neppure una strada per andare a vendere le eccedenze del proprio raccolto in città? Il poco che c’è è assicurato dai kumba kumba. Si tratta di ragazzi che trasportano in bici su sentieri accidentati anche duecento chili di olio di palma e lo vanno a barattare chi a seicento, chi a mille chi a milleduecento chilometri di distanza, in cambio di medicine, vestiti, cibo, attrezzature. Molti cadono vittime dei razziatori, molti altri muoiono per sfinimento perché la fatica che fanno non è supportata da un’alimentazione adeguata. Ma se nelle farmacie c’è qualche medicinale di base lo si deve a loro, a questi poveri angeli in bicicletta.
Passando alla casa famiglia, come può una suora sola accudire così tanti bambini?
Perché lì i bambini crescono in fretta, a cinque anni già accudiscono i neonati. A catena, l’uno aiuta l’altro. Le bambine più grandi vanno a prendere l’acqua, puliscono la verdura, lavano i panni. Ci sono poi due donne di supporto per i mestieri più pesanti, e un giro di mamme del villaggio che dedicano del tempo anche a questi bambini. Persino Felix, un ragazzino poliomielitico di circa dodici anni, fa da papà ai più piccoli, con un impegno che commuove.
Che benefici trarranno i piccoli da questo progetto?
Direi un cambiamento a trecentosessanta gradi. Avranno l’acqua in casa, senza bisogno di farsi due chilometri di cammino con un pesante secchio in testa; avranno la luce, grazie a un generatore, cosa rarissima a Isiro, la città più buia che io abbia mai visto in vita mia; non dovranno più fare sette chilometri per andare a scuola, in quanto nella casa famiglia ci sono anche le sei aule per la scuola dell’obbligo che saranno aperte anche ai bambini «esterni», grazie a maestri pagati dallo Stato; avranno i servizi igienici, mentre prima avevano adibito un angolo del giardino a toilette, con gravi problemi igienici e sanitari; essendo a Isiro, saranno anche più vicini ai pochi servizi sanitari esistenti nel territorio. Tutto questo aiuterà anche il loro progressivo reinserimento nella società e in ciò che rimane delle loro famiglie allargate.
Mi racconta una storia che le ha restituito fiducia?
Quella di Bernard, che ha vent’anni ed è il ragazzo più grande che abbiamo. Non è rientrato nella famiglia allargata, come succede a molti altri, perché lo abbiamo trovato per strada ed è solo al mondo, per cui è rimasto sempre all’orfanotrofio, aiutando come poteva. È un ragazzo dolce e molto bravo a scuola, così abbiamo deciso di mandarlo all’università. La signora che lo ospita in città durante il periodo delle lezioni lo accoglie gratuitamente, perché anche lei era un’orfana. Studia legge con risultati eccellenti. Mi ha detto che un giorno diventerà l’avvocato degli orfani. Perché lui non dimentica.
Il progetto in breve
Costruzione:
➜ Dormitori
➜ Cucina
➜ Refettorio
➜ 6 aule
➜ Locali di servizio
➜ Cisterna per l’acqua
➜ Generatore
Periodo:
➜ giugno 2007-giugno 2011
Costi:
➜ Totale 250 mila euro
Contributo
Caritas Antoniana:
➜ 100 mila euro