Una giornata con i frati del Santo
Questo, diciamolo subito francamente, è un articolo sui frati francescani. Scrivo di loro perché, se la gente è interessante e buffa, i frati lo sono ancora di più. E, ancora, scrivo di loro perché conosco quest’argomento molto bene, essendo anch’io, appunto, di questa banda. Come, del resto, lo fu pure il nostro sant’Antonio.
Di questi mattacchioni che da secoli imperversano per le vie del mondo, potrei raccontarvi cose da lasciare a bocca aperta. Ma non lo farò. Vorrei piuttosto invitarvi a trascorrere una giornata con noi, qui, nel convento accanto alla Basilica di Sant’Antonio, a Padova, per farvi conoscere gli strani tipi che vi abitano. Perché il miracolo più grande, a cui non è estraneo nemmeno lo stesso sant’Antonio, è questo: persone che, senza essere parenti né sposate, senza essere obbligate nemmeno per soldi, vivono assieme, giorno per giorno, quando è bello e quando è brutto, solo in nome di quel Dio che è papà di tutti. E che Francesco d’Assisi ci insegna a cercare nei fratelli, nei poveri e nella natura. Se volete, quindi, seguirmi, sarò lieto di farvi da guida.
Quella cosa che si chiama sonno
ersale proposizione che tutti gli uomini dormono (e invero è una di quelle cose di cui tutti possono godere: il requisito principale è la posizione orizzontale, benché qualcuno possa dormire anche sui banchi di scuola. Da noi c’è un frate così abile che riesce ad addormentarsi anche in piedi, ma questa posizione, essendo instabile quanto precaria, non può essere onestamente raccomandata), se ne dovrebbe logicamente dedurre che anche i frati dormono. Oggi, con tanto da fare in giro per il mondo, il lavoro di Dio richiederebbe una giornata lavorativa di almeno ventiquattro ore. Ma chi può farlo? I santi, naturalmente, ci andarono vicini, ma erano santi. Qualcuno di loro doveva anche essere acrobata: san Simone Stilita dicono che dormisse in equilibrio su una colonna!
I nostri letti non sono granché di comodità, ma vi assicuro che quando, alle 6 e mezza del mattino, la campana della sveglia suona con forza, pochi di noi saltano baldanzosi dal letto: la maggior parte si limita a scivolare lentamente fuori dalle lenzuola. L’abbiamo imparato presto a nostre spese: quando si dorme, in convento, bisogna dormire alla svelta, perché non vi concedono molto tempo per farlo.
Preghiamo!
Anche molti di voi si alzano presto, per andare a lavorare o preparare la colazione, ma il motivo per cui lo facciamo noi è un altro: la preghiera del mattino, quella serie di Salmi e letture prese dalla Bibbia che costituiscono le Lodi e l’Ufficio delle letture.
Ci troviamo tutti, più o meno assonnati e più o meno pettinati, dietro l’altare principale della chiesa, nel cosiddetto coro, oppure anche davanti, seduti assieme ai fedeli. Il nome non deve trarre in inganno: nonostante gli sforzi di frate Musicus all’organo, i risultati sono ben lontani dall’assomigliare a un coro vero e proprio!
La preghiera è anche fatica e distrazione. Il cuoco starà pensando a come variare il menu, il padre predicatore alla sua prossima omelia, l’ortolano invece pregherà per la pioggia o il sole. Come sempre, il coro è luogo di sante battaglie per riuscire a pensare a Dio e per alzare poderoso l’invito alla creazione a lodarlo. Ma è bello così: pregare è andare a trovare il nostro amico Gesù, e a un grande amico voi terreste nascosto qualcosa o non gli raccontereste anche i più piccoli fatti che vi sono successi?
Qui in coro, tra gli stalli di legno, ci verremo altre volte durante il giorno: a mezzogiorno per l’Ora media, alla sera per i Vespri e, prima di andare a nanna, per la Compieta. Come dire: tutta la giornata in compagnia del buon Dio!
Buona giornata
Il resto del giorno ciascuno lo passa occupato in varie mansioni, memori di quello che diceva san Paolo: «Chi non lavora, neppure mangi», e noi di fame ne abbiamo tanta! Il convento in men che non si dica si trasforma in un brulicante formicaio: c’è chi lavora nell’orto, chi si industria per prepararci quello che dovrà assomigliare a un lauto pranzo; chi è sempre in confessionale, nella bella penitenzieria nel chiostro della Magnolia, disponibile ad ascoltare chiunque abbia bisogno di parlare con una persona fidata e che può darvi il perdono di Dio; il frate bibliotecario si aggira solennemente tra libroni su cui sono adagiati secoli di polvere; qualcuno di noi è in Basilica, disponibile a farvi da guida o a rispondere alle vostre domande, mentre qualcun altro staziona accanto alla tomba di sant’Antonio; il frate infermiere si prende cura di chi di noi è ammalato o anziano, e respinge fermamente chi tenta di marcar visita senza motivo.
Altri escono dal convento andando ovunque ci sia bisogno, tra i giovani come tra i carcerati, nelle scuole o negli ospedali, tra i poveri e anche in giro per il mondo, a tutti portando l’annuncio di pace e bene. Il sottoscritto, giusto per citare uno a caso, raggiunge invece la redazione del «Messaggero di sant’Antonio», lì accanto, pronto a rispondere alle vostre lettere e a preparare il prossimo numero della rivista.
L’appuntamento per tutti è all’ora di pranzo in refettorio. Un pranzo semplice, magari allietato da un’inaspettata fetta di torta scovata chissà dove, ma soprattutto occasione per stare assieme, in gioia e semplicità. Il pomeriggio poi se ne va in fretta, tra lavori da completare, oppure ritagliandosi qualche spazio per starsene soli soletti nella propria cella. Ma, affinché voi non crediate che qui si tratti di prigione, conviene che spenda qualche parola anche per la cella.
Il cielo in una stanza
Quando dicevo «qualche parola», intendevo proprio «qualche parola». Cos’è infatti una cella è presto detto. È piccola, ci sta dentro lo stretto necessario: letto, inginocchiatoio, crocifisso appeso al muro, tavolino, piccola libreria, armadio e… un frate. Però è la nostra casa. Non ci si può fare footing né feste di compleanno, ma è il nostro regno due per quattro: basta chiudere gli occhi e puoi immaginarti di essere ovunque. Se sei libero dentro, i muri non sono certo un ostacolo! Nella cella puoi riposarti, leggere il Vangelo, anche soffrire un po’ di nostalgia e, perché no?, sognare.
Sorella luna
È ormai sera. Dopo che le cupole della Basilica sono state infuocate dal rosso del tramonto, le ombre della notte calano a concedere il meritato riposo alle stanche membra dei fraticelli. C’è ancora tempo per un’ultima chiacchierata, passeggiando attorno al chiostro. Ce n’è uno, detto del Noviziato, che è riservato a noi frati e chiuso al pubblico ed è il punto di raccordo di tutti gli ambienti del convento, le cui porte si affacciano, appunto, su di esso, una specie di svincolo obbligato dove incontrarsi, scontrarsi o «tendere agguati» al frate guardiano, cioè al nostro superiore, che è anche il rettore della Basilica. Vi assicuro che sarebbe un ottimo luogo per giocarci a nascondino, e chissà?, forse anche noi lo usiamo a tale scopo, ma questo è bene che non si sappia in giro…
Il nostro stare assieme, quella cosa che chiamiamo fraternità, è fatta di tutto ciò, grande e piccolo: è il nostro contributo alla vittoria sull’egoismo e sulla discordia.
È ora di lasciarci. Domani sarà un’altra giornata di gioie e di fatiche, per cui sarà bene intanto dormirci sopra. Come preghiamo nella Compieta: «Nel sonno non ci abbandonare, Signore; il cuore vegli con Cristo e il corpo riposi nella pace».
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!
4 comments