Sant’Antonio e i suoi Sermones
A ridosso della solennità di S. Antonio da Lisbona e di Padova e degli 800 anni del suo ingresso tra i frati minori (passaggio avvenuto, secondo alcuni storici, nell’estate 1220, in seguito alla forte eco lasciata nel giovane canonico agostiniano Fernando dai frati uccisi in Marocco, i Protomartiri), mi è stato chiesto da fr. Alejandro, responsabile del sito dell’Ordine, di raccontare il nostro santo alla luce della sua unica opera arrivata a noi, i Sermoni domenicali e festivi. In essi troviamo il volto e l’intera esistenza di Antonio: canonico agostiniano, frate minore, magister e predicatore.
Ad introdurci, ci è prezioso il biglietto che Francesco scrive ad Antonio – felice incontro tra l’intuizione di Antonio e il discernimento di Francesco – chiamandolo «mio vescovo»: in pratica l’autorizzazione del Poverello ad Antonio per dedicarsi all’insegnamento della teologia per i frati costituendo lo studio di Bologna.
I Sermones raccolgono qualcosa di quelle lezioni dedicate ai confratelli chiamati alla predicazione. Nel prologo, Antonio stesso delinea le due finalità che l’hanno portato a scrivere l’esteso commento alla Parola: «l’edificazione delle anime e la consolazione del lettore e dell’ascoltatore». Il frate lisbonese, «vinto dalle preghiere e dall’amore ai fratelli» (ecco perché scrive con tempi ridottissimi ricavati chissà quando nel suo generoso servizio itinerante in soli dieci anni di vita minoritica!) mette in mano ai confratelli una mirabile raccolta di materiale (soprattutto il commento ai vangeli domenicali e delle feste) adatto a raggiungere le varie categorie di persone che essi avrebbero incontrato. Antonio non dimentica la preoccupazione di Francesco: il predicatore «dica», anzitutto con la sua testimonianza, viva quanto annuncia, non faccia liti o dispute, sia sottomesso ad ogni creatura. Sia fratello minore di tutti.
Una novità dei Sermones è costituita dal modo di concepire l’evangelizzazione: Antonio, accanto ai contenuti, volge lo sguardo ai protagonisti ovvero ai predicatori e ai fedeli bisognosi di essere raggiunti dalla Parola di salvezza. Questa attenzione sottrae l’opera da un carattere unicamente dottrinale, così come le preghiere rivolte al Signore Gesù, al termine di ogni commento, rivelano il desiderio di accendere in ogni ciascuno una spiritualità capace di elevarsi alla contemplazione. È l’obiettivo dell’opera: «spezzare» con sapienza la Parola, renderla comprensibile e fruibile per la vita, convertendo il cuore a vita evangelica. Portare a Gesù!
Non è facile – o quantomeno non è immediato per noi – addentrarsi nei Sermones, ove Antonio mette tutta la sua precedente formazione a servizio dell’impegno d’evangelizzazione assunto nella famiglia francescana: occorre conoscere il contesto culturale, teologico ed ecclesiale del tempo. C’è bisogno di un «tutorial» che ci faccia comprendere come erano intesi in quel tempo i commenti (le «glosse») alla Scrittura, a che punto era il cammino teologico, la comprensione biblica letta con i quattro sensi (letterale, allegorico, morale, anagogico). Insomma, abbiamo bisogno di uno «schema base», comprendente anche il modo originale con il quale Antonio tratta le fonti e concepisce il lavoro. Il santo stesso, – Doctor evangelicus (Pio XII, 16 gennaio 1946) –, ci fa da «tutor» indicando in ogni commento di cosa vuole trattare e accentuando il senso morale del suo lavoro perché, alla fine, è la Parola accolta che trasforma la coscienza e diventa, per davvero, vita vissuta. Ascoltiamo Antonio: la Scrittura è la terra feconda che produce prima l’erba, poi la spiga e infine il chicco maturo nella spiga. In questa densa frase del prologo che prende spunto dal libro del creato, troviamo tre sensi del testo sacro (allegorico, morale, anagogico) sposati con le tre virtù teologali (erba-senso allegorico-collegato con la fede; spiga, s. morale, carità; chicco, s. anagogico, speranza). Quanta ricchezza! Coraggio: con un po’ di pazienza e di lettura «assistita», possiamo addentrarci anche noi nel libro dei Sermones che magari fa bella mostra nella biblioteca personale o conventuale.
Prima di esaurire lo spazio concessomi, vorrei evidenziare la somiglianza dei tempi di Francesco ed Antonio con i nostri quanto alla predicazione e alla fondamentale preparazione. La prima fraternitas s’incaricò sin da subito – con uno stile testimoniale, «dentro» e non «contro» la Chiesa – delle istanze del Concilio Lateranense IV (1215) che proponeva la riforma dell’intero tessuto ecclesiale a partire dalla ripresa della predicazione da parte dei vescovi e di collaboratori da loro designati. La pericolosa «concorrenza» era costituita dall’aumento di movimenti ereticali, ben più attivi e capaci di spiegare in lingua volgare la Scrittura intercettando il bisogno del popolo di rinnovamento evangelico. Una vittoria facile per gli eretici: il clero non eccelleva per costumi, non predicava, non era formato.
Quanto a noi viviamo, nel post Concilio, il tempo della «nuova evangelizzazione» (cf. Giovanni Paolo II), della necessità – più prioritaria che mai – di saper comunicare, con i linguaggi più appropriati, la gioia del Vangelo (cf. Papa Francesco, Evangelii gaudium). Francesco ci esorta a farlo con la nostra stessa vita secundum formam sancti Evangelii, (la predica più riuscita!); Antonio lo segue, incalzando che una buona preparazione è un atto d’amore al Signore e alle persone, oltre che occasione di personale e comunitaria conversione. Per poi donare la Parola entro lo stile francescano: con umile cordialità, senza discorsi «alti» (preferire il verbum abbreviatum), andando alla vita concreta (vizi e virtù), certificando il tutto con la propria vita da frate minore e lieta (cf. Regola bollata, III). Nell’apparizione di Arles, Francesco «conferma» Antonio che sta tenendo ai confratelli un sermone sulla croce (il fatto è più volte riportato nelle Fonti Francescane).
Un ultimo flash: la bravura del predicatore è passare dallo studio alle persone concrete. Ci piace così pensare ad Antonio (arca testamenti, secondo l’espressione di Gregorio IX), capace di passare «dal libro alla folla» (cf. titolo del libro di A. Rigon) e di parlare la lingua di tutti, di farsi intendere da ognuno. La sua lingua ancor incorrotta e venerata a Padova, è per noi segno eloquente di quanto ciascuno di noi, con la predicazione di vita-opere-parole può essere umile ed efficace ministro della gioia del Vangelo. Senza dimenticare il credito immenso che la gente dà ancora a noi frati, sentendoci vicini a loro, come i frati del popolo.
«Frate Antonio, al quale Iddio diede l’intelligenza delle sacre Scritture e il dono di predicare Cristo al mondo intero con parole più dolci del miele» (frate Tommaso da Celano, Vita Prima XVIII: FF 407), accompagnaci con la tua sapienza e il tuo coraggio nel servizio dell’evangelizzazione!
fr. Gv
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