Viaggio nelle città disneyland

I quartieri popolari diventano luoghi alla moda, riservati ai ricchi e ai turisti. I vecchi abitanti se ne vanno, le case finiscono nelle piattaforme di affitti brevi. È la gentrificazione, un fenomeno che sta cambiando l’anima delle città.
28 Novembre 2019 | di

Un aereo low cost, un alloggio nel quartiere Alfama, uno dei più antichi e caratteristici di Lisbona. Per la festa di sant’Antonio si riempie di festoni colorati, di tavoli e di griglie a cielo aperto, dove, come da tradizione, si arrostiscono chili e chili di sardine. Una vacanza nel cuore più autentico della città lusitana. La strada a gradoni è ripida, le ruote delle valigie scricchiolano al limite della rottura. Il palazzetto che ospita l’appartamento è in uno slargo triangolare, nel dedalo delle stradine. L’host, il termine che definisce gli affittuari temporanei, contattato attraverso una piattaforma in internet, apre l’antico portone verde. Ne esce una coppia di giapponesi, che saluta garbatamente. Tre piani di scale strette e finalmente l’appartamento, vagamente bohemien, con cuscini e tendaggi colorati, gatti di ceramica, una mega lavagna in cucina, con i saluti degli ospiti precedenti. Dalle finestre del piccolo soggiorno lo spicchio di mare incluso nell’affitto è occupato da un’enorme nave da crociera. Cresce la sensazione, sempre più sgradevole, di essere nel mezzo di una messa in scena. Una disneyland per turisti, dove gli abitanti del luogo sono pochi o quasi non ci sono, come nel centro di Venezia, di Roma, di Parigi, di New York, di Città del Capo, come in tutte le città del mondo dove il turismo è una miniera d’oro.

Un fenomeno globale e dilagante che ha un nome difficile, preso in prestito dall’inglese, «gentrificazione». Il termine deriva da gentry, cioè borghesia, ed è traducibile letteralmente in «imborghesimento». L’ha usato per la prima volta una studiosa londinese, Ruth Glass, negli anni ’60, per descrivere i cambiamenti che stavano avvenendo nella sua città: molti edifici dei vecchi quartieri popolari venivano acquistati dalla borghesia facoltosa e trasformati in appartamenti alla moda. Il lato positivo era che la zona veniva riqualificata, quello negativo che i prezzi andavano alle stelle e gli antichi abitanti, appartenenti alle classi popolari, non potevano più permettersi l’affitto. Risultato? Il quartiere perdeva caratteristiche e tradizioni, perché un luogo vero non è fatto solo dalle sue piazze e dai suoi monumenti, ma dalla vita che ci brulica attorno.

La gentrificazione ha riguardato all’inizio più i Paesi anglosassoni ed è esplosa già negli anni ’70-’80 negli Stati Uniti, quando nelle principali città sono spariti gli alberghi per i poveri, trasformati in strutture turistiche. Più di recente, i grandi capitali hanno acquistato notevoli porzioni di quartieri degradati, come Brooklyn a New York, per riqualificarli, attrarre una clientela facoltosa e realizzarci forti guadagni. A farne le spese la gente più povera, in maggioranza di colore, che ha dovuto abbandonare le case di una vita.

Il ciclone Airbnb

Su un processo in corso da decenni, a partire dal 2008 circa, con l’inizio della crisi economica globale e l’affermarsi in internet delle piattaforme di affitto temporaneo come Airbnb o Booking, il fenomeno della gentrificazione esplode, diventa turistificazione, soprattutto nelle zone più richieste. All’inizio l’idea alla base è esaltante. Le piattaforme permettono a chiunque nel globo di mettere in affitto una stanza o il proprio appartamento per brevi periodi, guadagnando piccole somme che aiutano a limitare gli effetti della crisi. «La retorica della condivisione – come la chiama Sarah Gainsforth, ricercatrice indipendente e autrice del libro Airbnb città merce (Derive Approdi) – ammanta di valore sociale una necessità, dando a tutti la sensazione di essere cittadini del mondo». Col passare degli anni, però, le cose non vanno esattamente come annunciato. A dimostrarlo per l’Italia i dati di Federalberghi: ad agosto del 2019, il 77 per cento degli annunci su Airbnb riguarda case intere e non stanze. Il 63 per cento degli inserzionisti non lo fa per arrotondare il reddito ma come una vera e propria professione, visto che gestisce più annunci. Nella piattaforma ci sono casi limite in cui un singolo soggetto gestisce oltre 4.300 alloggi. Quindi questa economia, in apparenza redistributiva, finisce per allargare ancora di più la forbice tra ricchi e poveri, dando spazio alla speculazione immobiliare.

Le ricadute più pericolose, tuttavia, riguardano il mercato degli affitti. Il concetto è semplice: Perché stipulare un contratto a lungo termine con una famiglia o uno studente se è possibile guadagnare molto di più – magari eludendo le tasse ed evitando il rischio di morosità – con gli affitti temporanei per turisti? In alcune zone del mondo questo fenomeno sta stravolgendo il tessuto sociale urbano come uno tsunami: spariscono le case per i residenti e le poche che ci sono hanno costi impossibili. Gli effetti più nefasti della gentrificazione si vedono proprio in California, patria della Silicon Valley e delle piattaforme digitali: un lavoratore californiano che guadagna il salario minimo «dovrebbe lavorare 93 ore a settimana o guadagnare 60 dollari all’ora per potersi affittare un bilocale» specifica Gainsforth. Nel quartiere gentrificato anche il commercio cambia. Spariscono i negozietti e arrivano le grandi catene globali del cibo, dei cosmetici, della moda, della casa. Ogni strada si assomiglia in tutto il mondo. È l’anticamera di una crisi abitativa - soprattutto per le classi più povere - veloce, inarrestabile, globale.

 

Quanto il fenomeno sta coinvolgendo anche l’Italia? È possibile arginarlo? La politica che atteggiamento ha in proposito? Chi sta concretamente cercando di invertire la tendenza? E noi utenti che cosa possiamo fare di concreto? Interviene Irene Ranaldi, sociologa urbana e presidente di Ottavo Colle. Tra le esperienze Set, la rete di città del Sud Europa contro la turisrificazione e Fairbnb, la piattaforma etica di affitti brevi. L’intero dossier è pubblicato sul numero di novembre 2019 del Messaggero di sant’Antonio e sull’edizione digitale del numero, che puoi provare gratuitamente clikkando qui.

Data di aggiornamento: 28 Novembre 2019
Lascia un commento che verrà pubblicato