Voglia di pace a Ground Zero
Ero a New York i primi giorni di marzo. Non potevo non andare al Ground Zero, il luogo dove sorgevano le due torri gemelle crollate dopo l`attentato dell`11 settembre 2001. Quello spazio è diventato una specie di moderno «santuario», senza muri, solo il vuoto di una grande voragine. Tutto attorno, come avviene in tanti santuari religiosi, è cresciuto un piccolo commercio di «souvenir»: bancarelle con foto, cartoline, ricordi, gadgets di ogni tipo e gusto. Un`occasione ghiotta per little business (piccoli affari).
Nelle cancellate, attraverso le quali si può accedere alla voragine, resistono ancora le migliaia di messaggi più o meno stinti dal tempo, di orsacchiotti di peluche e di altri piccoli oggetti d`uso quotidiano, posti lì nei giorni drammatici del crollo: piccoli grandi segnali della presenza di parenti o amici che volevano ricordare, memoria di una quotidianità ferita e traumatizzata, ma non sconfitta. Una ferita e un trauma che continuano a segnare fortemente la vita di tanti cittadini di quel grande Paese.
Ho fatto l`«esperienza» del luogo ora vuoto delle due torri gemelle, a due passi da Wall Street, il grande santuario della finanza mondiale, in un ingorgo di vie, negozi, spazi affollati, dove la gente non ha mai smesso di girare vorticosamente, appena scemato lo choc iniziale. Forse ricordate anche voi: le concitate cronache degli eventi erano sempre accompagnate dalle notizie su come andavano le cose nelle Borse. Nasdaq, Down Jones, e tutto quello che vi gira intorno, Eh sì, money is money! il denaro, gli affari per dire che la vita continuava, doveva continuare.
Come moltissime altre persone, dopo essermi procurato il necessario biglietto, gratuito ma obbligatorio per regolamentare il considerevole afflusso di visitatori, mi sono messo in fila e, al mio turno, mi sono incamminato lungo una passerella di legno che dalla strada porta verso la voragine assediata da cantieri. Gente di tutte le razze, di colori e lingue diverse, espressione del villaggio globale, lì unificate in dall`unico linguaggio del silenzio, dello smarrimento, di domande su come sia potuto accadere una tragedia simile. Molta la gente in preghiera. Un servizio d`ordine regolamentava il tempo. Pochi minuti, per lasciare posto ad altri. Si ritornava per un`altra passerella, affiancata da un monumento che ricorda gli eroici vigili del fuoco di New York.
La sera successiva ho assistito all`accensione dei due grandi fari che dal Ground Zero proiettano verso l`alto enormi fasci di luce che ricostruiscono idealmente le due torri abbattute; fasci di luce che vanno a conficcarsi nel buio della notte per tenere accesa una speranza e una memoria.
Ho avuto modo di confrontarmi con amici del posto su quale significato dare alla reazione degli americani a quell`infausto evento. Qualcuno la leggeva sinceramente come uno sforzo generoso dell`America in difesa dell`umanità contro il terrorismo; ma c`era anche chi poneva l`accento sul malessere creato da un certo modello occidentale poco rispettoso della diversità , esportato in altre aree culturali del pianeta...
Il tempo passa, ma i fatti di quel tragico 11 settembre continuano a interrogare tutti e a sollecitare risposte che non siano dettate solo dalla volontà di punire i colpevoli. È su quel malessere, individuato dagli stessi americani, che bisogna intervenire. Malessere vuol dire povertà , fame, malattie, sottosviluppo che stanno rendendo la vita impossibile a milioni di persone nel mondo. Rimuovere quel malessere è presupposto insostituibile alla pace. C`è un solo modo allora per dare un senso a quello spazio sconciato dall`orrore, farlo diventare un vero laboratorio di pace, dove si studi, si viva, si costruisca la pace. Ernesto Olivero, fondatore del Sermig, ha concretizzato a Torino un tale progetto trasformando il vecchio arsenale militare in una fucina di pace. Ci ha confidato che gli è stato proposto di ripetere l`esperienza a Ground Zero: di realizzare cioè nel luogo diventato simbolo dello scatenamento della violenza e dell`odio, un Cenacolo di pace, di dialogo e di tolleranza. La proposta gli è piaciuta: se il progetto si realizzerà , sarà un motivo in più di riflessione e di speranza.