Icone di libertà
Papa Francesco ha più volte parlato di schiavitù e delle forme in cui si palesa nel mondo come nella quotidianità. Mi chiedo spesso se la disabilità possa o meno rientrare in una di queste forme… E se invece fosse paradossalmente un’icona di libertà? Come si può essere liberi nella diversità? E come i genitori, o più precisamente il padre, di un bambino con disabilità possono scoprirla nella relazione che li lega e darle spazio?
Qualche mese fa avevamo parlato di come nella relazione padre-figlio le difficoltà, ormai non più solo competenza materna, possano inaspettatamente condurre entrambi in un orizzonte diverso, fatto di complicità ma soprattutto di esplorazione dentro e fuori di sé. La libertà è terreno comune, ma è anche un campo personale in cui ci avviciniamo all’espressione di pari passo con il cambiamento. Il tema della libertà, quando si parla di una persona con disabilità, è naturalmente legato all’autonomia, alle occasioni di scelta, ma non solo, dipende anche dai servizi, dai diritti, dal contesto e dal tipo di disabilità… Come può fare allora un padre a crescere un figlio libero? E a sentirsi libero? Se ne è parlato a lungo nell’ultimo numero monografico di «Hp-Accaparlante», storica rivista del Centro Documentazione Handicap di Bologna, dedicato questa volta al ruolo del padre con il divertente titolo «Astropapà – Il ruolo paterno tra stereotipi del passato e identità future».
A ben vedere, la prospettiva si può ribaltare. Dipende da che cosa intendiamo quando parliamo di libertà, al significato più profondo e «agito» che le attribuiamo. Cito a riguardo proprio le parole di un papà: «Che cosa è la libertà per me? Non è solo un concetto giuridico di matrice pseudo occidentale. La libertà passa per la ricchezza delle relazioni. Qualunque persona privata di relazioni non è libera, anche in un contesto nel quale potenzialmente sembra essere padrona delle proprie scelte. E la condizione biologica delle persone non è indice di potenziale poca libertà, anzi… È più libera una persona con disabilità gravissima, anche cosiddetta intellettiva, inserita in un contesto familiare o comunitario ricco di relazioni e inclusivo, o una persona che per anni è costretta a lavorare “liberamente” in un contesto non desiderato, umiliante, solitario, solo per poter sopravvivere?». Certo, queste sono domande che stimolano la riflessione e spingono il dibattito a un confronto provocatorio, ma le provocazioni aprono la mente.
Anche gli eventi con cui è cominciato il nostro nuovo anno hanno portato alla ribalta il tema, perché, di fatto, è il pilastro su cui, nel bene o nel male, si fondano le nostre vite. La disabilità ci obbliga a uscire dagli schemi e dalle definizioni e a metterci fisicamente di fronte al nostro pensiero di libertà. Una persona che non si può muovere o che non può parlare che immagine ci trasmette? Eppure la libertà, come ci racconta questo papà, non è un fatto d’immagine, ma una faccenda che riguarda l’azione, qualcosa che si muove, che è e che crea relazione. Perché, come dice Giorgio Gaber, «la libertà non è star sopra un albero / non è neanche avere un’opinione / la libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione» (La libertà).
E voi state sopra o sotto gli alberi? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina Facebook.