Pagare le tasse? Dovere di ogni cittadino
«Gentile direttore, pagare le tasse è un dovere per tutti i cittadini. Come dovremmo sapere tutti, le tasse servono per avere tanti servizi. E possibilmente ben funzionanti ed efficienti. Se tutti versassero il dovuto, si pagherebbe di meno e si avrebbero più risorse per avere servizi migliori. Cari giornalisti, vi chiedo: fate più informazione, formazione e con più trasparenza e obiettività. Uscite dal generico e dalle discussioni inutili ed entrate in merito al dovere di pagare le tasse. Fare chiarezza servirebbe per far crescere la coscienza e la consapevolezza negli italiani del bene comune. Ne trarrebbero vantaggio i cittadini, il Paese e tutta la società».
Francesco L. – Bergamo
Gentile Francesco, mi ha fatto davvero molto piacere ricevere la sua lettera (anche se ho dovuto tagliarla per limiti di spazio). Perché, con semplicità e immediatezza, mette l’accento su un grosso problema, di cui forse anche nella Chiesa non si parla con sufficiente forza.
Pagare le tasse è un dovere? Certo. Lo è innanzitutto dal punto di vista civico, ma lo è anche cristianamente parlando. Nel Nuovo Testamento due sono i passaggi nei quali si ricorda l’obbligo di pagare le tasse: il primo, forse il più noto, è quello in cui Gesù, interrogato se sia lecito o meno pagare i tributi, risponde di rendere a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio (cfr. Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25) e l’altro, in Rm 13,7, nel quale si legge: «Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto».
Pure il Catechismo della Chiesa cattolica richiama al dovere di pagare tasse e tributi. E lo fa commentando il IV comandamento («Onora tuo padre e tua madre…»), sottolineando in tal modo implicitamente l’essenza stessa dello Stato – che è un’autorità legittimamente costituita – e facendo risalire il fondamento di tale obbligo a una questione di giustizia contributiva. Al n. 2240 del Catechismo si legge infatti: «La sottomissione all’autorità e la corresponsabilità nel bene comune comportano l’esigenza morale del versamento delle imposte».
Ma anche i documenti conciliari ricordano l’obbligo del contribuire al bene comune, superando un’«etica individualistica» per aprirci ai doveri sociali. Si legge dunque nella Gaudium et spes n. 75: «Non sarà inutile ricordare il dovere di apportare alla cosa pubblica le prestazioni, materiali e personali, richieste dal bene comune».
Che cosa significa in definitiva tutto ciò? Che il cristiano è chiamato a preoccuparsi e a occuparsi del bene comune, in virtù di una visione solidaristica dell’esistenza legata al concetto di «fratellanza». Detta in soldoni: se tutti gli esseri umani sono fratelli, non è pensabile che non ci si preoccupi gli uni degli altri, anche versando, in base alle proprie possibilità, quanto serve a garantire il benessere di tutti, con un occhio di riguardo per i più poveri e i più fragili. E questo, in un’organizzazione statuale come la nostra, avviene principalmente pagando al fisco quanto gli spetta.
È vero che si apre a questo punto una serie di domande, le più importanti delle quali rimandano agli argomenti utilizzati come scusa per l’evasione fiscale: e se lo Stato non è equo nella imposizione fiscale? Vale a dire: se chiede il pagamento di una quantità eccessiva di tasse o di imposte troppo alte? Oppure se, invece di utilizzare bene quanto versiamo, lo spreca? Anche in questo caso, la posizione della Chiesa è molto chiara: non è venendo meno a un atteggiamento di legalità che si risolve il problema, bensì utilizzando i mezzi democratici che i cittadini hanno a disposizione. Vale a dire: se io penso che lo Stato mi sottragga in modo iniquo delle risorse, non è agendo allo stesso modo che risolvo il problema, ma con l’impegno democratico (agendo, per esempio, a livello politico) devo fare in modo che prelievo e destinazione fiscali vengano riportati nel giusto.
Quanto all’appello che lei fa ai giornali affinché trattino in modo più chiaro questo tema, mi sento di condividerlo. Troppo spesso ci si ferma al mero dato scandalistico e non si cerca di capire le ragioni profonde che portano a comportamenti sbagliati. Va, a onor del vero, anche detto che non è compito dei giornali formare i cittadini, però, trattando le notizie in modo vero e corretto, semplice senza essere semplicistico, essi possono contribuire a creare un’opinione pubblica capace di sana critica.
Una nota finale: non dimentichiamo in tutto ciò il compito fondamentale svolto da famiglia e scuola, realtà in prima linea nella formazione di «onesti cittadini». E così pure di una coscienza individuale rettamente formata e volta al bene.