La regina degli Emirati
«Forbes», la rivista statunitense di economia e finanza, l’ha segnalata come una delle cento donne italiane di maggior successo nel mondo. Tra i numerosi premi e riconoscimenti che ha ottenuto, ricordiamo quelli di «Top Middle East Woman Leader» e di «Pioneering Woman Leader Award». Veneziana d’origine, studi e master nelle più prestigiose università del mondo perché – come dice lei stessa – «il titolo di studio e dove lo si consegue fanno la differenza», Silvia Vianello, già direttore marketing della Maserati, oggi è direttore del Centro Innovazione alla SPJain School of Global Management di Dubai, negli Emirati Arabi, una business school che ogni anno attribuisce dieci borse di studio ad altrettanti studenti italiani che desiderano conseguire un master in Business Administration.
Msa. Qual è stata l’esperienza lavorativa o professionale che ha segnato di più la sua carriera internazionale?
Vianello. Io sono partita quando ero giovanissima, e sono andata prima a Parigi, poi ho vissuto a Houston, in Texas, e poi a New York. La cosa fondamentale è stata proprio quella di partire da giovane. E il fatto di mettermi in gioco fin da quando ero all’università. Viaggiare, imparare le lingue, amalgamarsi con le altre culture. Tutte le esperienze che ho maturato a Parigi, a Houston e a New York mi hanno aiutata tantissimo nella mia formazione, nelle mie capacità professionali e sul fatto di stare al mondo.
Europa, Stati Uniti e Medio Oriente. Chi sta cogliendo meglio le opportunità offerte dalla globalizzazione?
Ci sono due giganti economici e tecnologici che stanno combattendo: Stati Uniti e Cina. Però anche qui in Medio Oriente si sta spingendo tantissimo verso l’innovazione. In Europa, invece, si parla tanto di innovazione, ma la si fa poco. Qui a Dubai c’è il programma che si chiama «10x» che significa che presto Dubai sarà dieci anni più all’avanguardia di qualsiasi altra città del mondo in termini di innovazione tecnologica, soprattutto nell’ambito dell’intelligenza artificiale, del benessere e della felicità della persona. Da noi abbiamo sia il ministro per l’Intelligenza artificiale che il ministro per la Felicità. E si cerca di fare in modo che l’innovazione aiuti le persone ad avere una vita migliore. In modo che la tecnologia sia effettivamente al loro servizio. Ad esempio per aumentare la sicurezza affinché non ci siano furti, né omicidi, né incidenti stradali.
Ci sono speranze per il made in Italy nel mondo? Quali errori non devono fare le nostre imprese ovvero quali fattori non devono mancare nelle loro strategie di espansione?
Le imprese italiane dovrebbero smetterla di «aver paura» di crescere. Perché crescere comporta certamente delle problematiche. E quindi preferiscono coltivare il loro orticello. Ma così si finisce, poi, per non essere più competitivi. E si chiude. È un grave errore quello di non crescere, di non evolversi. In Asia c’è, invece, la cultura del primeggiare. Vogliono essere primi al mondo. Io vivo in una città, Dubai, in cui, in qualsiasi ambito, c’è chi sta lavorando per essere al vertice, per innovare, per crescere. L’Italia è percepita molto bene all’estero. Perché gli italiani non vogliono più essere i primi?
Che consigli può dare ai giovani italiani che aspirano a una carriera internazionale?
Innanzitutto è importante avere un titolo di studio universitario. Non si può pensare di essere uno startupper di successo senza una laurea. Chi ha avuto successo senza una laurea, di solito è abituato a svegliarsi la mattina e a studiare. Bisogna far togliere dalla mente ai giovani che ci si afferma nella vita senza studiare. Se si ambisce a una carriera internazionale, occorre formarsi in una scuola internazionale. Io sono direttore, qui a Dubai, di una business school che aiuta i giovani italiani meritevoli che altrimenti non avrebbero la possibilità di studiare. Quelli che vengono da noi, possono fare quattro mesi a Dubai, quattro a Singapore, e quattro a Sydney, in Australia. E possono scegliere in quale di queste tre città vogliono che la nostra università gli trovi un lavoro.
Quali sono i vantaggi, per un italiano, di vivere a Dubai e negli Emirati Arabi?
La qualità della vita è molto più elevata che in Europa. Io vivo e lavoro qui da due anni. E siamo «viziatissimi». Ad esempio, per un primo lavoro in Italia, con una laurea in marketing, se ti va bene ti pagano 500 euro al mese. Qui, invece, lo stipendio per un Marketing Junior parte da 4 mila euro al mese. E il costo della vita è circa una volta e mezzo quello di Milano.
Cosa fanno gli italiani che vivono e lavorano negli Emirati Arabi?
Gli italiani sono presenti un po’ in tutte le categorie. Ci sono italiani che lavorano nel settore della ristorazione, nella moda, nel settore immobiliare e in quello delle costruzioni, nell’ambito dell’energia. Ma anche nell’innovazione e nella formazione. Tante mogli che hanno seguito i loro mariti qui a Dubai, fanno le insegnanti. Nei palazzi in cui viviamo noi europei, si trova il medico, il dentista, la farmacia, il supermercato, la piscina. Se ti serve una cosa di notte, mandi un messaggio via WhatsApp al supermercato sotto casa, e te la portano su. Dove si trova tutto questo altrove, e con la stessa facilità?
E le donne occidentali come sono trattate?
Benissimo. Qui le donne brave fanno carriera con molta più facilità che in Italia. Comunque anche le donne arabe sono trattate bene. Va detto che a Dubai solo il 9 per cento della popolazione è araba. Il resto proviene da altri Paesi.
L’Italia ha sottoscritto un accordo con gli Emirati Arabi per incrementare la collaborazione internazionale e le attività di import-export. Cosa rappresentiamo nel loro immaginario collettivo?
Quando si parla di Italia, le prime cose che vengono in mente sono il cibo, la moda, il design, le automobili di lusso. Gli italiani hanno una buonissima reputazione. Noi ispiriamo simpatia. Siamo considerati come persone che hanno voglia di fare. Abbiamo fama di essere stacanovisti, di lavorare tantissimo, di essere precisi, di impegnarci a fondo, di avere titoli di studio elevati.