Baruffabomber: «No al bullismo» a ritmo di rap
Mentre parte la base musicale, Marco impugna e stringe forte il microfono. I versi del suo rap, semplici e diretti, diventano come spade taglienti: «Ehi, sai, ci sono anch’io / A questo mondo / servo pure io / Anche io provo dolore / provo emozione / Anche io so dare amore / Non sfottermi dai, non sfottermi mai». Non è soltanto una canzone, quella di Marco, ma è uno spaccato di vita, un racconto di sofferenza che nella musica è diventato un grido di riscatto e di impegno.
Ogni mattina, quando andava a scuola, Marco sapeva che avrebbe trovato un bullo pronto a deriderlo, a insultarlo e a fargli male: la sua diversità era considerata un bersaglio facile su cui accanirsi. «Ero spaventato, soggiogato, non riuscivo a reagire», ricorda. A lungo Marco ha tenuto dentro tutto il dolore che era costretto a subire, non ha avuto il coraggio di chiedere aiuto alla mamma, al papà, a chi gli voleva bene. Ma poi, finalmente, un giorno ha deciso di non tacere più, e tutta la cattiveria e le prepotenze di cui è stato vittima gli hanno dato la forza per dire «Mai più bullismo». E per metterlo in musica. Il suo brano Siamo diversi tra noi è diventato un inno a quella differenza che rappresenta un valore, un tesoro: «La mia diversità / è la mia qualità / E se questo tu non sai / amico mio non sarai mai».
Marco Baruffaldi ha compiuto 24 anni pochi giorni prima di Natale: ha la sindrome di Down, «e ne sono fiero», esclama con un sorriso. Abita a Castelfranco Emilia, provincia di Modena, diocesi di Bologna, «la patria del tortellino tradizionale», ride con il suo entusiasmo trascinante. Ha le passioni dei giovani di oggi, il computer, lo smartphone, le app e la tecnologia in genere, ma soprattutto ama suonare la batteria, grazie a uno spiccato senso del ritmo, e le sue giornate sono piene di musica, rap, hip hop, i Queen, Vasco Rossi ma anche il reggaeton. «Mi sento vivo e forte con il rock, ma sono anche un tenerone romantico», ammette. Eppure i suoi giorni non sono stati sempre facili. «La mia famiglia non mi ha mai considerato diverso, anche se i medici avevano detto che probabilmente non sarei mai riuscito a parlare e a camminare come gli altri bambini. Non è stato così – spiega –. Ho appreso molto presto che non dovevo arrendermi mai, non dovevo lasciarmi condizionare dalla mia diversità».
Ma già all’asilo per lui sono iniziati i problemi: aveva soltanto 4 anni, quando un bimbo con un calcio gli spezzò gli occhiali, «e porto ancora la cicatrice sul naso». Qualche genitore di altri scolaretti arrivò a chiedere che Marco venisse trasferito: «Temevano che fosse contagioso: è incredibile – ricorda il padre Arnaldo, per anni vigile del fuoco –. Anche noi genitori siamo stati vittime di bullismo...». Meno male che le maestre, le «tate», hanno saputo fare scudo e Marco è rimasto nella classe.
Alle scuole medie, però, la situazione è diventata più grave: «Un ragazzo, spalleggiato dai suoi amici, come una gang, mi aveva preso di mira – dice Marco –. Soprattutto durante la ricreazione mi offendevano, mi spintonavano, mi picchiavano, mi umiliavano. Mi hanno anche sfilato le scarpe ortopediche per riempirle di pipì. Avrei voluto reagire ma ero terrorizzato. “Perché proprio a me?”, mi chiedevo». Poi, ad accanirsi su Marco è stato addirittura un insegnante di sostegno (in seguito allontanato dalla scuola): «Mi pestava i piedi, mi dava ceffoni e una volta mi seguì in auto fino a casa, come per minacciarmi: non voleva che dicessi tutto ai miei genitori. La violenza morale era più forte di quella fisica: mi mancava l’autostima, mi mancava tutto».
In effetti, per diverso tempo Marco non è riuscito ad aprirsi: «Ci eravamo accorti che qualcosa non andava – aggiunge il papà –, fino a quando nostro figlio ci ha rivelato tutto». E anche se alle scuole superiori l’ambiente è stato migliore, la ferita di quelle esperienze dolorose era difficile da rimarginare: Marco sentiva che avrebbe dovuto condividerla e farne partecipi anche altri ragazzi come lui, che magari erano ancora chiusi nel loro dolore. «La musica mi ha salvato – ammette –, e attraverso la musica voglio diffondere la conoscenza delle violenze che si possono subire dai bulli». I genitori hanno sempre sostenuto e incoraggiato Marco e, ancor più dopo la scomparsa dell’amatissima mamma, papà Arnaldo è costantemente al suo fianco in questa coraggiosa battaglia di civiltà.
Un paio d’anni fa Marco si è seduto al computer, ha azionato la webcam e ha registrato un messaggio in cui ha raccontato la sua storia e ha messo in guardia dai pericoli del bullismo. Rimbalzando da YouTube a Facebook, quel video è divenuto virale, ha fatto il giro della Rete e, in breve tempo, Marco è diventato il paladino di una preziosa campagna antibullismo: molte scuole, dal Nord al Sud Italia, lo invitano a portare la sua testimonianza, «e sono tutti incontri bellissimi, spesso molto toccanti – interviene il papà –. I ragazzi ascoltano Marco, lo sommergono di domande e alcuni trovano il coraggio di vuotare il sacco davanti a tutti. Io raccomando sempre loro di non tenere questi problemi per sé, ma di parlarne con tutti, con i familiari, gli insegnanti, il preside e poi, se nessuno interviene, di andare dai Carabinieri. I bulli di oggi possono diventare i mafiosi di domani».
Non a caso, dunque, tra i vari riconoscimenti ricevuti da Marco spicca il premio speciale per la legalità, intitolato a Cristina Pavesi, vittima innocente di mafia, consegnato a Campolongo (Venezia).
Il testo di Siamo diversi tra noi è nato da pensieri scritti su foglietti durante un viaggio in auto col papà: «Guardami / ascoltami / Sai come ci si sente / se ti fan capire / che non servi proprio a niente / E io dico no, no, no». «Io canto la parte bella e buona del rap – dice Marco, in arte Baruffabomber o S. Baruffa, dove S sta per Spiderman –. Vorrei abbracciare con la mia musica tutte le persone che spesso vengono discriminate ed etichettate in malo modo». Siamo diversi tra noi, certo, «ma prima di guardare ciò che ci differenzia dobbiamo osservare ciò che ci rende simili», aggiunge.
Con il suo «no al bullismo», Marco è volato anche a Lourdes, ospite speciale del pellegrinaggio dell’Unitalsi emiliano-romagnola, e ha conquistato e commosso milioni di telespettatori, partecipando a Tu si que vales su Canale 5. J Ax, il suo idolo, gli ha fatto la sorpresa di venire a duettare con lui, regalandogli una strofa inedita per la canzone: «Gli scemi nascono dalla paura / e la paura dall’ignoranza / La maggioranza pensa in bianco e nero / Noi siamo fuori / siamo diversi come i colori».
«Non ho mai cercato vendetta per i torti che mi hanno fatto – confida Marco –, ma con la mia musica mi sono preso la rivincita sui bulli. Ora vedo e faccio vedere la loro inutilità, la loro insicurezza». E soprattutto sa mostrare a tutti che nei colori della diversità c’è un arcobaleno di bellezza. Il fango della cattiveria non riuscirà a sporcarlo.
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