L’America vista dalla California
«L’Istituto Italiano di Cultura di San Francisco, che dirigo, è sicuramente influenzato, nella sua offerta, dalla sua posizione. Trovarsi qui significa avere una panoramica privilegiata sia su quanto avviene nella Silicon Valley, e cioè tutto ciò che riguarda l’innovazione tecnologica, sia sul cinema, grazie alla vicina Los Angeles. Google, Pixar, Apple, Nasa, Lucasfilm: sono tutte vicine di casa», constata Annamaria Di Giorgio, pescarese, classe 1981, che dal 2019 è il punto di riferimento ufficiale della nostra cultura nel cosiddetto Golden State. «Ma l’area di mia competenza è immensa – prosegue –. Va dalle Hawaii allo Stato dell’Idaho, passando per città importantissime e anche più grandi di San Francisco, come Portland e Seattle o Salt Lake City con le quali cerchiamo di intrattenere diversi scambi culturali».
Gli Istituti Italiani di Cultura (IIC) hanno il compito di promuovere la nostra cultura all’estero organizzando eventi, favorendo la partecipazione di nostri connazionali ai principali momenti artistici del Paese in cui operano, e sviluppando le relazioni interuniversitarie e la cooperazione dei sistemi educativi. La comunità che segue le attività dell’Istituto di San Francisco è varia, ma si può suddividere in tre grandi tipologie. «La prima è quella italiana di nuova immigrazione – sottolinea Di Giorgio –. È principalmente legata al mondo del tech: sono molto giovani e qualificatissimi. La seconda è quella italo-americana che ha il suo fulcro nel quartiere di North Beach dove, da pochi mesi, c’è anche la nostra nuova sede. La terza tipologia è costituita dagli statunitensi appassionati di lingua e cultura italiana. Spesso hanno una vera e propria venerazione per il nostro Paese. Le aspettative sono molto diversificate. Cerchiamo di soddisfarle con un’offerta variegata e, soprattutto, all’altezza. Nel raggiungimento di questi obiettivi siamo aiutati, dall’estate scorsa, dalla nostra nuova sede presso il neonato Innovit, primo Centro italiano per la cultura e l’innovazione all’estero».
Con una formazione come quella di Annamaria Di Giorgio, una carriera nell’ambito culturale sembra, a posteriori, una scelta obbligata: «A Pescara – ricorda – ho frequentato un liceo linguistico europeo con tre lingue sin dal primo anno, mentre a 18 anni mi sono trasferita a Roma per studiare Lingue e Civiltà orientali con indirizzo artistico-archeologico all’Università La Sapienza. Mi sono laureata nel 2005. Nel mezzo ho frequentato anche un corso di arabo al Cairo dove, per la prima volta, conobbi la realtà degli Istituti Italiani di Cultura all’estero. Ho proseguito con un corso di formazione per le relazioni internazionali e un master internazionale di secondo livello in State Management and Humanitarian Affairs. In quegli anni ho sempre lavorato per non pesare troppo sulla mia famiglia. Ho fatto la cameriera, l’animatrice, la commessa in un negozio di biancheria, poi in pasticceria, e la barista. Dopo la laurea sono stata per alcuni mesi in una ditta di mostre internazionali e ho svolto due stage: uno di un anno presso la commissione nazionale italiana per l’Unesco, e uno più breve a Rainews 24. Il concorso del ministero degli Affari esteri, quello che ora mi ha portato qui, l’ho passato nel 2008 con tanto “studio matto e disperatissimo”. E anche una buona dose di sana fortuna, che serve sempre».
Prima di arrivare negli Stati Uniti, Annamaria Di Giorgio è stata vicedirettrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino. Alla capitale tedesca sono legati due dei suoi più bei ricordi: «Il primo è un pranzo con Franco Battiato, seguito da un suo indimenticabile concerto alla Philharmonie. Che persona umile e straordinaria! Mi raccontava che le rose si orientavano nel punto in cui lui era solito meditare perché “tutto l’universo obbedisce all’amore”. E poi ho avuto la fortuna di incontrare lo scrittore Roberto Calasso, un altro mio mito». In ogni IIC si rimane normalmente quattro anni. «In futuro – conclude Di Giorgio – mi piacerebbe molto andare in Asia, mio vero pallino da sempre. L’Italia mi manca. Mi sento sempre “monca” quando vivo all’estero. Non sono mai “completa”: dal latte macchiato, la mattina, alle chiacchiere al bar, dalla mia libreria preferita, Giufa’ a Roma, agli amici che si vedono spontaneamente per un aperitivo, al motorino, fino agli amici della vita e ai familiari. Così, ogni volta che torno in Italia, per qualche giorno o mese, cerco di farne il pieno prima di ripartire».
Prova la versione digitale del «Messaggero di sant'Antonio»!