«E Gesù andò nel deserto»
In questo numero rievochiamo la figura di Carlo Carretto l'uomo venuto dal deserto. Credo siano ancora in molti a ricordarsi di questa figura carismatica mancata negli anni '80. Presidente dell' Azione Cattolica negli anni '50, con una scelta, improvvisa per molti, rinuncia all'impegno pubblico per ritirarsi nel deserto di Tamanrasset, sulle orme di fratel Charles de Foucauld. Personalmente ricordo di averlo incontrato, negli anni della mia giovanile ricerca, a Spello, nell'antico convento francescano di San Girolamo, centro di convergenza dai vari eremi che costellavano il monte Subasio. L'esperienza del deserto aveva profondamente segnato Carretto, e in un suo fortunato libro, Lettere dal deserto, aveva condensato il significato di quel luogo, che non è solo geografico ma simbolico ed esistenziale. Aveva alla fine lasciato il Sahara, ma di tanto in tanto vi ritornava a ritrovare il senso dell'abitare la città degli uomini.
Negli anni '70, nella raffinata Parigi, un prete, Pierre Delfieux, dopo una prolungata esperienza nel deserto del Sahara, dava vita a un movimento monastico chiamato le Fraternità di Gerusalemme, oggi presenti anche in alcune città italiane. Monaci e monache nel deserto della città vivono la sostanza del monachesimo, che consiste nella ricerca profonda di Dio, senza allontanarsi dal consorzio umano. Mi ha sempre colpito l'espressione il deserto della città che evoca luoghi anonimi, aridità di relazioni, desolati spazi esistenziali raramente abitati dalla speranza, dalla gioia, e sempre più da uomini che hanno perso il senso del vivere.
Il deserto, dunque, due realtà : spazio infinito, ricco di fascino, di silenzio, di magica bellezza, sponda dell'assoluto, ma anche luogo di aridità , di contraddizioni, di insidie e di miserie.
Questo luogo si è rifatto presente nei nostri giorni nelle cronache di una guerra che non sembra più finire: un deserto non più punteggiato da ristoratrici oasi, ma da vampate di attentati, violenze e morte. Il fascino di quel luogo sembra essere sconsolatamente evaporato come miraggio.
Il deserto è il motivo dominante anche del periodo liturgico della Quaresima, che quest'anno coinvolge l'intero mese di marzo. La Quaresima, i quaranta giorni che precedono la Pasqua di risurrezione, è un momento forte dell'esperienza cristiana. Essa si apre con il ricordo di Gesù che, dopo il battesimo sulle rive del Giordano, va nel deserto. Gli evangelisti riferiscono l'evento con efficace concisione e con parole pressoché identiche: Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato (Mt 4,1)... e vi rimase quaranta giorni (Mc 1,13).
Gesù, nostro Maestro, entra in quegli spazi che rievocano il tempo lì vissuto dal popolo di Israele, angustiato dai disagi, segnato dall'aridità e dalle prove, ma durante il quale ha sperimentato la fedeltà di Dio. Il deserto è allora momento fondante dell'esperienza religiosa. Anche per noi.
Certo, non è possibile lasciare tutto per andare fisicamente come Gesù nel deserto. Però il deserto lo possiamo simbolicamente fare dentro di noi e intorno a noi, creando spazi di silenzio e di raccoglimento, da riempire con la preghiera, con alcune domande sulla nostra vita per verificare se ci fidiamo più di Dio e della sua Parola o delle fallaci parole dei tanti idoli che ci costruiamo a difesa delle nostre sicurezze.
Una volta il periodo della Quaresima era evidenziato da digiuni, da manifestazioni esterne. Oggi tutto è appiattito su un carnevale di distrazioni senza fine. Desidero condividere l'augurio che questo possa essere un periodo nel quale ritrovare la misura di noi stessi: creature che nello stupore della fedeltà e presenza di Dio provano che anche il deserto più arido può fiorire.