«Tratturi» di nonviolenza
«In principio, il viaggio», si chiama così il nostro sussidio per i Cenacoli del Vangelo, da vivere nelle famiglie della diocesi, attorno al libro degli Atti degli Apostoli. È bello seguirne le tappe, osservare lo stile degli apostoli, il loro sostare in alcune città simbolo del nostro tempo. Ogni paese visitato ci parla, insegna e accompagna.
La strada diventa così lo spazio vitale per il Vangelo. Il viaggio ne è la forza. Nasce e si perfeziona la gioia del camminare insieme. Perché senti che tutto sta qui, in questo stile di vita. Il camminare insieme, sulla stessa strada, pur con passi differenti, ma sempre tesi a uscire dal cenacolo, per portare lungo i percorsi di ieri e di oggi la forza del kerigma. Cioè del Cristo risorto che vince ogni paura e lancia i nostri cuori a mete sempre più alte.
C’è una chiesa, in diocesi nostra, che già nel nome evoca questa bellezza del camminare. Si chiama Santa Maria della Strada. È una chiesa romanica, molto bella, austera, compatta, dalle solide colonne, con fregi misteriosi sui capitelli, come sapevano fare i medioevali. Raccoglie bene i gemiti e i sogni dei pastori. Osservandola, lo sguardo è subito attratto dalla sua collocazione: non ha case attorno, il paese è lontano.
Si trova in mezzo alla campagna, lungo gli antichissimi itinerari delle pecore, chiamati «tratturi», vere e proprie autostrade larghe ben 110 metri. Li avevano inventati già i romani, creando così un’economia intrecciata e solidale. Si trattava di coniugare insieme doni differenti che potevano essere perdenti se limitati a una sola stagione. Se intrecciati insieme, invece, eccoli diventare fecondità per tutti.
Infatti, le pecore, grande ricchezza per il mondo antico e non solo, nei mesi estivi migravano dalle zone torride della Puglia verso le montagne fresche degli Abruzzi, attraversando così il Molise, in cerca di pascoli ubertosi. Poi, in settembre scendevano lentamente, paese dopo paese, per affrontare l’inverno in luoghi più miti.
Dai «tratturi», traggo due grandi insegnamenti, utili anche per la mia diocesi. In essi, il passo non era mai rigidamente programmabile, ma doveva essere adeguato alla fatica delle pecore. Chiara era la meta, ma paziente il passo. Lucido il luogo d’arrivo; progressivi i tempi di percorrenza.
Così sia l’attività nelle parrocchie: chiarezza negli obiettivi, ma mitezza nei tempi e nei modi. Proprio come ci dice il Papa, nel messaggio della pace del primo gennaio. Il secondo insegnamento è legato all’interscambio che veniva attuato lungo il tratturo. I pastori offrivano i loro prodotti, come la saporita ricotta e il latte fresco, di giornata. I contadini donavano invece i frutti della loro terra, il grano e gli ortaggi.
Meraviglioso esempio di economia attiva, solidale, in piena e consolidata reciprocità. E la reciprocità dura ben più a lungo della semplice solidarietà: questa spesso si deforma in buonismo temporaneo, per esempio finché regge l’emozione per i terremotati. Troppo poco. La reciprocità, invece, resiste nel tempo.
È bello risentire che questa pazienza e reciprocità sono le virtù che il Papa raccomanda nel messaggio per la 50° giornata della pace, il 1 gennaio 2017, sul tema della nonviolenza, stile di una politica per la pace. Governare è come guidare le greggi lungo i tratturi. Ci vuole chiarezza di obiettivi, ma poi tanta pazienza per accompagnare i passi della gente.
Il Papa chiude con un monito: rendere domestica la pace tramite un cammino di nonviolenza, imparato già nel cuore della famiglia: parlarsi, dialogare, rispettarsi nelle differenze di gusti; quindi, il perdono reciproco, il profumo della gioia fraterna, lo scambio di talenti. La pazienza dei pastori lungo i tratturi molisani e il loro saggio interscambio in reciprocità si fanno così icona di pace. Vi è tutto il messaggio della nonviolenza, ai piedi di Maria, Madonna della strada.