Quando «l’aria sa di Lui»
Sul palcoscenico, uno alla volta, salgono gli interpreti dei compagni di Francesco: esitanti, si guardano intorno cercando di capire cosa stia succedendo. Anche le parole, nel canto, esprimono la loro titubanza. «Strana sensazione dentro me» esordisce Frate Angelo, cui risponde Frate Ginepro: «Sì, la sento anch’io, chissà cos’è», e Frate Leone: «Questa sera l’aria non è lei. Questa sera l’aria sa di Lui. La senti anche tu?». Difficile non sentirla un’aria diversa in Chiara di Dio, il musical religioso che ha segnato l’ultimo decennio, riempiendo quello spazio che era stato di Forza venite gente. Anche tra chi solo assiste alle due ore di esibizione, il profumo di Lui si libra, inconfondibile. «Questo spettacolo vale… dieci mie omelie!», confidò al termine della rappresentazione un cardinale. Dal suo debutto nel 2004, nella ricorrenza dei 750 anni dalla morte di santa Chiara, il musical è stato apprezzato da oltre 400 mila persone, grazie alle centinaia di repliche ad Assisi, al teatro Metastasio dove è stabilmente in cartellone dal 2008, o al Lago di Monte Colombo (Rimini) – sede della compagnia e della produzione, l’associazione Dare – o nei teatri e nelle piazze di tutta Italia. Un successo e una diffusione del genere sono merito certo degli artisti professionisti, ma anche di tanti giovani dilettanti – si calcola siano stati più di 5 mila! – di compagnie amatoriali, nate in seno a parrocchie, associazioni, movimenti, scuole.
È una storia nella storia che riguarda Chiara di Dio come pure gli altri spettacoli firmati da Carlo Tedeschi: fin da subito, infatti, il regista e il suo gruppo hanno voluto offrire gratis basi e copioni, mettere a disposizione le strutture dove si è formata la compagine teatrale, fornire collaborazione professionale per le coreografie, la recitazione, il canto e per realizzare costumi e scenografie. In casa o a domicilio. Un coinvolgimento in prima persona che non è semplice «generosità», ma vero carisma e servizio. Il tutto – spiega Tedeschi – ha origine da un incontro. «Ciascuno di noi ha una sua missione nella vita. Fin da giovane, nel discernimento, ho cercato la mia. Poi ho aperto il cuore a Gesù, e quindi al prossimo: è una conseguenza logica! Il mio prossimo, oggi, è il pubblico, che devo avvicinare e coinvolgere nell’amore. Non salgo sul palco per farmi applaudire, ma per trasmettere quanto di più bello ho e per dire che amare è possibile, a me che recito e a te che siedi in sala. Ecco perché, con l’obiettivo di trasmettere l’arte di amare il prossimo, è per noi naturale muoverci, anche a nostre spese, andare nelle parrocchie dove ci sono giovani che si riuniscono per portare in scena non solo un mio spettacolo, ma un qualsiasi spettacolo». Nelle parrocchie con i «minimusical» Quante persone servono per allestire un musical? Chi ci ha provato lo sa bene: tra danza canto recitazione coreografie costumi trucco scenografie palco luci mixer… anche più di cento! E non finisce qui: l’impegno, in termini di tempo, costi ed energie, è notevole, tanto che non tutti i gruppi possono di fatto «permettersi» il «grande musical». «È per questo – spiega Annamaria Bianchini, aiuto regista – che Carlo Tedeschi ha scritto anche spettacoli più semplici, adatti a piccole realtà. Li chiamiamo i “minimusical”, nati per l’evangelizzazione. Sono testi che hanno cadenza liturgica: Un vagito nella notte per l’avvento, Via Crucis per la quaresima, I mille sì di Maria in maggio, Dedicato a te, Signore per tutto l’anno...».
Ogni gruppo poi ha la sua storia e si coinvolge a livello diverso. Anche l’aiuto da parte di Tedeschi e della sua squadra muta a seconda delle esigenze. Racconta Bianchini: «I giovani in genere ci fanno vedere quanto hanno preparato, o li aiutiamo a montare lo spettacolo con un laboratorio teatrale o di danza, o altro. Al di là dei costi, è tutto gratuito. Poi, quando ci è possibile, cerchiamo di essere presenti al loro debutto, un momento davvero importante. Infatti, per chi si cimenta con quest’impresa, la vittoria più grande è proprio riuscire a portare a compimento il progetto, applicandosi con costanza e affrontando le immancabili diversità di vedute e le difficoltà». C’è poi un’altra «vittoria» da conseguire, più personale: lasciarsi interrogare da quanto si sta facendo, senza lasciare che lo spettacolo sia «solo» musica, «solo» parole, «solo» recitazione… Lo sa bene Annamaria, che in Chiara di Dio è stata la prima interprete della santa, «ruolo che rivestii pure nel primo Forza venite gente, di cui sono stata l’ideatrice. Ma al tempo non avevo approfondito la personalità della protagonista. Quando poi Tedeschi mi coinvolse, di Chiara cominciai a leggere scritti autografi e libri che la riguardavano; e poi interiorizzai le parole e le canzoni del musical. Ogni sera, prima di addormentarmi, ripetevo il copione per memorizzarlo, accorgendomi che le parole diventavano preghiera, e così mi assopivo pregando…». Con quel canto nel cuore Può una canzone convertire? Può un musical far cambiare senso di marcia a una vita? «Avevo solo 15 anni, e da quella sera…». A raccontare è suor Chiara, novizia clarissa di Biancavilla, in provincia di Catania: «Il musical fu bellissimo: gli applausi, una forte emozione impregnava l’aria, ma soprattutto si poteva percepire forte “l’odore di Chiara”, che si sprigiona nella Chiesa da più di 750 anni ma che giunse a me soltanto in quella “magica” sera. Dopo quel musical, me ne andai con un forte desiderio di “fare sul serio” con Dio, di verificare cosa volesse da me, per donargli la mia vita, come Chiara». Sono passati alcuni anni, «il cammino è stato un po’ tortuoso, ma per chi non lo è? Adesso sono novizia nel monastero della mia città…». Ogni vocazione, ogni conversione è stupore, anche se le svolte, ricorda Tedeschi, «con Chiara di Dio sono state così frequenti da diventare, nella grazia, quasi naturali. Ricordo con commozione quando fummo accolti in un convento di clarisse, ad Assisi. Le sorelle avevano preparato la colazione per la compagnia, ritirandosi poi dietro le grate, da dove ci osservavano mangiare, sorridenti. Finché una di loro intonò una mia canzone. Stupito, la avvicinai chiedendole come conoscesse quel brano dello spettacolo Dio che meraviglia! che da 20 anni non era più riproposto. “Perché a quel tempo venni al Lago di Monte Colombo, ospite dalla coreografa, nei giorni di programmazione del musical”, mi rispose. Tornata a casa, cominciò a interrogarsi sulla consacrazione, fino a sceglierla. Siccome nella sua povertà di clarissa non poteva portarsi appresso il cd, si era imparata a memoria le canzoni... Fu un incontro emozionante, perché quella pianticella non era nata di fronte ai miei occhi. È meraviglioso sapere che l’importante è tracciare il bene: “Una traccia lasciata, mai più si cancella” diceva Leo Amici, il mio maestro, ideatore e fondatore dell’associazione Dare. Sapere che, qualsiasi cosa tu faccia, con la grazia di Dio essa potrà avere una ripercussione e anche senza che tu lo sappia, è splendido!». Una santità a portata di vita Forse è proprio qui una delle chiavi del successo di Chiara di Dio: trasmette una santità disponibile, realizzabile non solo da chi – Francesco e Chiara – era giovane a cavallo del Duecento, ma anche da chi lo è oggi. Tedeschi lo conferma: «In tante canzoni e nei dialoghi dei miei spettacoli ho usato parole che corrispondevano alla mia esperienza spirituale personale, o che mi sono state regalate da altri giovani innamorati della vita e di Dio. Ragazzi e ragazze che cominciano a scoprire la fede e che spontaneamente scrivono pagine di diario, poesie, canzoni per dire la bellezza di avere intuito che ha senso vivere per amare. È come quando ci innamoriamo e vediamo tutto in positivo, e sgorgano le parole più belle dedicate alla persona amata, alla natura, a Dio se crediamo in Lui. Perché ci sentiamo grati per tutto ciò che ci circonda. Io prendo questi versi che so essere veri e posso benissimo metterli in bocca a Chiara o Francesco, perché in quel momento è la nostra santità che parla». Non solo con le parole: chi sale sul palcoscenico di questi spettacoli condivide un cammino, «è un interprete vero, non lo fa mai solo per professione» precisa il regista. E la differenza si vede: «La santità è presentata nella semplice quotidianità. Ci si sente inseriti dentro, come san Francesco nella sacralità della natura; ci si sente collegati uno all’altro, a livello visibile e invisibile, nella comunione dei santi. I giovani interpreti di Chiara, di Francesco e degi altri hanno avvertito questo legame: hanno quasi prestato i loro corpi perché i santi potessero viverci dentro e ridonare, almeno nelle due ore di spettacolo, la loro santità». Il musical volge al suo termine: per l’ultimo brano la troupe, smessi i costumi medievali, veste i jeans e le t-shirt di sempre, per dire che è tutto vero, è tutto realizzabile. Che ancora oggi, tutt’intorno, «l’aria sa di Lui».