Bill Viola. Confessioni di un pittore elettronico
Mani giunte, carnagione pallida, volto scavato. Se ne sta ricurvo sulla sedia bianca, a lato del tavolo affollato di ospiti illustri, come un gobbo dietro le quinte. Non apre bocca, ma ascolta con attenzione gli interventi dei relatori, le domande dei giornalisti. Poi tira un’occhiata alla moglie Kira Perov al suo fianco e di colpo lei inizia a parlare, come se a legare i due – oltre a trentasette anni di matrimonio – ci fosse un filo diretto e invisibile. Siamo a Firenze, alla conferenza stampa d’inaugurazione della mostra «Bill Viola. Rinascimento elettronico» a Palazzo Strozzi fino al 23 luglio.
L’artista, però, è reduce da problemi di salute e, così, ha delegato la consorte, tra l’altro curatrice della retrospettiva assieme ad Arturo Galansino (direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi), a fare gli onori di casa. Il risultato è un’intervista di rara autenticità e partecipazione. Più Kira Perov lascia fluire i pensieri, più il volto del marito si rasserena. L’emozione sale e la schiena di Bill si fa via via più eretta. Alla fine dell’incontro il maestro si alza in piedi e completa qualche frase della moglie col linguaggio labiale. È orgoglioso di quanto è emerso da quest’oretta di dialogo. Ma soprattutto è fiero di una mostra che condensa quarant’anni di carriera in ventisei video-opere.
Sono lontani i tempi in cui Bill Viola sbarcò per la prima volta a Firenze, nel 1974, come direttore tecnico dell’art/tapes/22 (centro di produzione e documentazione video fondato da Maria Gloria Bicocchi). Da allora il «tecnico americano», come lo chiamarono affettuosamente i colleghi italiani, ha sperimentato un po’ tutti i supporti digitali (dalla pellicola in bianco e nero agli schermi al plasma e ai cristalli liquidi), indagando con la telecamera la dimensione umana – intrisa di vita, morte e passioni –, ma anche lo spazio, il suono e i quattro elementi naturali (acqua, terra, fuoco, aria).
Quella di Bill Viola è un’arte spontanea che parla della contemporaneità, senza però dimenticare la grande lezione del passato. Non a caso nelle sale di Palazzo Strozzi le sue installazioni dialogano con alcuni dei capolavori che le hanno ispirate: la Visitazione del Pontormo (1528-’29), il Cristo in pietà di Masolino da Panicale (1383-’84), il Diluvio universale e recessione delle acque di Paolo Uccello (1439-’40) e Adamo ed Eva di Lucas Cranach (1528). Accostando ai preziosi olii e affreschi sequenze digitali Bill Viola azzarda, certo. Ma lo fa con acume e buonsenso. Nella consapevolezza che «tutta l’arte è contemporanea, senza tempo, universale ed eterna», l’artista crea opere per «trasformare la nostra percezione, per guardare finalmente non davanti ma dentro di noi».
Il risultato è degno di uno dei maggiori video- artisti al mondo. Lo stesso che nel 1995 ha rappresentato gli Usa alla Biennale di Venezia e che, in seguito, ha ricevuto ospitalità dal J. Paul Getty Museum di Los Angeles (2003), dal Mori art Museum di Tokyo (2006) e dal Grand Palais di Parigi (2014). Tanto prestigio, comunque, non ha scalfito l’anima dell’artista. Oggi, a 66 anni, Bill Viola rimane lo stesso geniale «tecnico» cresciuto a pane e tv nel Queens (quartiere periferico di New York). Un appassionato di viaggi che, dopo la prima visita agli Uffizi negli anni Settanta, scoprì il ruolo dei musei («creati per l’arte », non viceversa) e la vera funzione delle opere: stare in mezzo alla comunità, nei luoghi pubblici. Perché, è convinto il videomaker, «l’arte deve far parte della vita quotidiana se vuole essere sincera».
Msa. Cosa rappresenta la telecamera per Bill Viola?
Perov/Viola. Da sempre Bill sperimenta e indaga le emozioni dell’uomo, la nascita, la morte, la coscienza, la spiritualità. Utilizzando la telecamera e le immagini filmiche, egli ha trovato un modo per ampliare la realtà o guardarla più da vicino. Per Bill, quando si osserva qualcosa da vicino e a lungo si percepisce l’essenza vera e propria.
Che ruolo ha avuto la tradizione cristiana nel suo percorso di crescita artistica?
Bill non crea opere religiose. Qualcuno ha chiesto perché in Emergence non è stata inserita la croce (che invece svetta nell’affresco di Masolino da Panicale). La risposta è che Bill ha preferito concentrarsi sulla tragedia umana, sul senso di lutto. Un dolore che egli stesso ha sperimentato con la morte dei suoi genitori. Per Bill l’arte cristiana non è arte, è più una forma di espressione umana. Nella Cattedrale di Saint Paul a Londra ci sono due sue opere (Martyrs. Earth, Air, Fire, Water, 2014 e Mary, 2016) che richiamano moltissimi visitatori di tutte le religioni. Tra questi, sono davvero pochi i cristiani convinti di ammirare una forma d’arte cristiana.
È giusto definire quella di Bill Viola un’arte di gruppo?
È tutto un lavoro di gruppo, una cooperazione. All’inizio Bill era solo, poi sono arrivata io e da quel momento abbiamo lavorato in due. Quando siamo passati a opere più grandi, come The greeting, Bill era preoccupato perché non aveva mai fatto il regista né aveva avuto a che fare con veri attori. È stata dura. Ancora oggi, ai provini, Bill parla ai performer e rivolge loro domande personali tipo: «Sei mai quasi annegato?», «Hai mai avuto un incontro ravvicinato con la morte?». Questo per riportarli alle origini, lasciando fluire il loro sentimento interiore e dando libero sfogo alla recitazione.
Che ricordi conserva Bill Viola del suo primo viaggio a Firenze, nel 1974?
Bill arrivò a Firenze 23enne. Era già un video-produttore negli Usa. Così in Italia, all’art/tapes/22, si concentrò su nuove idee. Lavorò in un clima di grande fermento con artisti internazionali decisi a proiettare la video-arte il più possibile verso il futuro.
Tanta attenzione alle tecnologie come si rapporta con la lezione dei maestri rinascimentali?
Bill osservava i capolavori del Rinascimento, anche se all’epoca nessuno di questi (forse ad eccezione del David di Michelangelo) gli procurava la sensazione che stava cercando. Ai musei preferiva le chiese, dove trascorreva il tempo registrando i suoni d’acqua che poi utilizzò per arricchire i suoi lavori. Del resto, sia al college che all’università, Bill ha sempre odiato la storia dell’arte, la trovava molto noiosa. Voleva giocare con i video, con le cineprese.
Osservando le opere del maestro, tuttavia, il rimando alla pittura del ’400-’500 è inevitabile…
Bill è stato molto influenzato dal contenuto emotivo dei capolavori del Rinascimento e dalla loro lezione di umanità. Per questo ha scelto di diluire lo spazio temporale nelle sue opere, per ampliare il più possibile lo spettro delle emozioni. In Emergence Bill è stato colpito dal Cristo in pietà di Masolino, però non ha voluto esaltare il lato cristiano dell’opera. Si è concentrato piuttosto sul dolore, il lutto, l’espressione degli occhi del Cristo. E poi ovviamente sui colori del cielo, il paesaggio, la tomba, che è una cisterna d’acqua...
Nelle opere di Bill Viola ricorrono spesso i quattro elementi naturali. Come mai?
Tutti gli elementi sono assolutamente simbolici. In The crossing (1996) l’acqua e il fuoco rappresentano non solo una forma di distruzione, ma anche uno strumento di purificazione personale, quindi sono elementi catartici di trascendenza. Guardando quest’opera capiamo che l’autodistruzione alla fine è l’unico modo per raggiungere veramente la liberazione. Pensiamo poi a Inverted birth (2014). Un uomo solo se ne sta in piedi, non sappiamo bene dove, avvolto da vari liquidi (il sangue, l’acqua e il latte) che rappresentano l’essenza della vita umana e tutto il ciclo vitale. Anche in questo caso, l’accezione simbolica è molto forte, come pure il collegamento tra passato, presente e futuro.
La mostra a Palazzo Strozzi abbina tecnologia e tradizione senza mai svilirle: che messaggio ci consegna?
La vita è composta dalla nascita e dalla morte. Ma tra questi due passaggi l’uomo è sempre alla ricerca di qualcos’altro, qualcosa di molto più profondo. Bill ha utilizzato il video per portare avanti la sua ricerca personale, nella convinzione che l’arte rappresenti il risveglio dell’anima umana. In questa esibizione assistiamo a vari utilizzi delle immagini filmiche e vediamo quanto l’uomo sia transitorio su questa terra, quanto sia influenzato dalle forze naturali. Da qui il desiderio di Bill di «creare e mostrare» per immergere completamente i visitatori nel mondo interiore.