Dove nasce la pace
«Dio con la spada della pena, l’uomo con la spada della colpa. Nessuno fu in grado di ricomporre questa lite. Venne Cristo, che è imparentato con entrambi perché Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, e si pose tra loro e li trattenne».Sant’Antonio, Domenica XIII dopo Pentecoste
La drammatizzazione in cui sant’Antonio pone il rapporto tra Dio e l’uomo, dopo il peccato di Adamo, troverebbe molto d’accordo una mia carissima conoscente: la professoressa Jacqueline Morineau, fondatrice e anima della «Mediazione Umanitaria».
Una realtà che è stata ed è un capolavoro formativo per generazioni di giovani europei, tesa a sviluppare in persone di buona volontà lo «spirito della mediazione», un appassionato cammino di competenza nel vivere più «umanamente» insieme, nell’accettazione delle differenze.
Jacqueline è una persona dalla gentilezza d’altri tempi, a prima vista fatta per accompagnare tempi di pace e tranquillità. Ma chi conosce il suo lavoro di mediazione nel mondo balcanico e su altre frontiere di non pace, sa come Jacqueline paragoni i drammi immensi creati dalle più diverse contrapposizioni alla tragedia greca che, a modo suo, voleva essere un processo di «catarsi», di purificazione, e di verità per il ristabilimento di una «pace».
Una pace che prevedeva, però, sempre delle vittime sacrificali: qualcuno doveva – quando andava bene era il più «cattivo» – soccombere. In una visione di mediazione umanistica, invece, nessuno deve essere sacrificato, ma ognuno aiutato a portare le proprie lacerazioni e il proprio dolore a un livello superiore, in cui le anime si ascoltino in un cammino faticoso ma finalmente liberante per ognuno.
E san Francesco d’Assisi, capofila dei mediatori di pace di ogni tempo, in tal senso ci ammonisce: «La pace che vuoi fuori di te, deve nascere dal tuo cuore».
Mi lascia un po’ incredulo il risultato che sant’Antonio ottenne con la sua predicazione quaresimale, nel 1221, a Padova. Si tramanda che portò pace dentro una città bellicosa, divisa, dalle molte ingiustizie. Non è genere letterario, avvenne proprio così, la mediazione di Antonio riuscì davvero.
Egli si mise in mezzo al malessere umano che coinvolgeva la comunità che lo ospitava, sentendoci un po’ di Dio e un po’ dell’uomo, moralmente obbligato a farsi ponte, a esporsi senza tatticismi e patti segreti, ponendosi come specchio del dolore di molti, e anche specchio critico dello stesso padre di ogni dolore, il peccato.
Antonio è realista: «Se due nemici con la spada in mano combattono, chi oserà frammettersi tra loro e trattenerli?». Anche noi siamo portati in simili casi e girare la testa da un’altra parte, per non vedere. Ma Antonio incalza: «Venne Cristo, che è imparentato con entrambi…».
Perché siamo carenti di voglia di una simile «parentela»? Perché non imparare a so-stare come Cristo dentro il conflitto «Dio-uomo», e desiderare di unire l’Uno all’altro, facendoli rinascere, come in un parto non indolore, a nuova vita? Grazie Jacqueline per il tuo cuore indomito e gentile