Eugenio Finardi. Con animo fibrillante

La musica, il successo e la spiritualità che lo accompagna in un rinnovato impegno per un mondo più giusto. A tu per tu col cantautore milanese.
27 Settembre 2015 | di

Nella storia del rock italiano ha un posto privilegiato dagli anni in cui pubblicava, con l’etichetta musicale Cramps, album come Sugo e Diesel. Anche se quello di Eugenio Finardi, cantautore milanese, è un rock che strizza l’occhio alla musica leggera. Diventato famoso negli anni Settanta, Finardi è rimasto a lungo tra i primi in classifica. Negli ultimi decenni ha spaziato dal fado al blues, alla classica contemporanea. Recentemente, poi, è ritornato alle sue canzoni in italiano con un cd intitolato Fibrillante, il nuovo album prodotto da Max Casacci dei Subsonica.

Finardi si presenta con barba bianca e un sorriso che apre a un dialogo sincero, che parte dal cuore. Sempre con la sua musica impegnata e ribelle, un inno contro miserie e ingiustizie sociali. Oggi come ieri. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua presenza a Padova, insieme con lo scrittore Aldo Nove, per lo spettacolo Tutta la luce del mondo in parole e musica, in occasione della chiusura del Giugno Antoniano.

Msa. Eugenio, partiamo dal tuo ultimo tour musicale Fibrillante, un lungo viaggio per piazze, teatri, stadi… Già il titolo indica uno stato d’animo… Perché fibrillante?Finardi. Più che un titolo, fibrillante è una diagnosi. Ho sofferto per anni di fibrillazione atriale, causata dal malfunzionamento della tiroide. La fibrillazione atriale ti rende difficile, procura amarezza, però, come spesso succede nei momenti travagliati, ti offre una lucidità di visione. Con Fibrillante ho voluto rendere testimonianza del periodo sofferente in cui stiamo vivendo, nel quale ci si trova a doversi confrontare con l’ingiustizia e la disuguaglianza.

La visione del cantautore impegnato… È la contemporaneità di un uomo che ha raggiunto l’età anziana, perché a 62 anni si comincia a essere «diversamente giovani», come si dice, ed è una condizione che io accetto con gioia. E per uno nato negli anni Cinquanta e che ha attraversato gli anni Sessanta-Settanta, gli anni della speranza, dell’utopia, di un futuro di crescita, sviluppo, eguaglianza e giustizia per tutti, è una grande delusione vivere in un presente così amaro, così difficile per tanti uomini e donne. E non per colpa loro.

Sta parlando il Finardi «ribelle»? È una lettura amara del nostro tempo. Noi siamo abituati a pensare che se ciascuno fa il suo dovere viene ripagato. Oggi, purtroppo, non è così. Siamo in un mondo nel quale pochi posseggono tutto e possono cambiare la vita di molti, strappare futuro, speranza, dignità, ruolo sociale, lavoro a persone che non lo meritano. È un tema che mi tocca profondamente e che ho voluto testimoniare. Come l’angoscia per questo pianeta che stiamo massacrando e che mi trova in sintonia con quanto affermato da papa Francesco nella sua ultima enciclica Laudato si’.

Questo ti ha spinto a realizzare un altro progetto: Parole e musica, più di settanta date l’anno scorso, in tutta Italia, con grande partecipazione di pubblico… La grande partecipazione mi ha riempito di gioia. Ho aspettato molto tempo prima di pubblicare Fibrillante, ma il risultato è stato davvero sorprendente. Forse perché avevo qualcosa da dire, alla mia età, in un ambito che è molto giovanilista. Mi riferisco, in particolare, alla musica rock. «Fibrillante», in fondo, è la parte elettrica del mio tour, quella con la band al completo. È un concerto molto dinamico, dove parlo poco e suono molto. C’è poi la versione «acustica», «parole e musica», che si adatta a spazi più piccoli come chiostri, teatri, aule magne, biblioteche e dà molto rilievo al parlato, quindi ai contenuti sempre legati alla testimonianza e al momento che stiamo vivendo.

Il tuo è un modo indipendente di far musica. Una personalità artistica che ama spaziare, confrontarsi, esprimersi, vivere in libertà. Che cosa ti avvicina e cosa ti allontana dagli altri artisti? Mi avvicinano agli altri artisti l’ascolto, le radici. Io provengo da due culture, sono italiano e americano. La mia famiglia vive in America. Mia madre, americana, era una grande insegnante di musica lirica. È stata lei a farmi amare la musica italiana. Da mia nonna, invece, ho imparato il blues. Sono un ascoltatore eclettico e apprezzo molto la musica tibetana, orientale, indiana e quella classica cinese… Ciò che mi distingue è la capacità di adattare la mia musica ai musicisti con cui suono, dando spazio alla loro peculiarità e aiutandoli a tirarla fuori.

Hai più volte dichiarato di non essere credente, eppure coltivi una tua spiritualità… Non sono credente, ma ciò non implica che non sia una persona spirituale. In realtà ho una grande sensibilità verso tutto ciò che è spiritualità, che credo sia insita negli esseri umani. Proprio il fatto di non credere in una particolare fede mi offre la possibilità di vedere con serenità la globalità, la totalità del sentire spirituale. In particolare, trovo il messaggio cristiano di un’incredibile modernità. Gesù di Nazareth, duemila anni fa, parlava di concetti che ancora faticano a entrare nell’animo, nella mente e nello spirito dei nostri contemporanei, come la condivisione, l’essere tutti fratelli. E lo siamo. La scienza l’ha dimostrato: geneticamente siamo incredibilmente simili l’uno all’altro. Eppure, cerchiamo le più piccole differenze per distinguerci e combattere gli uni contro gli altri.

Antonio e Francesco, due santi attuali. Perché secondo te? Sono attuali, forse mai come adesso. Sia Francesco che Antonio hanno combattuto l’eresia non con la violenza, la repressione, ma con la parola, il dialogo, il confronto delle idee. E con il confronto hanno saputo vincere. Sono incredibilmente moderni proprio in questo: nella percezione che ciò che rende fratelli gli uomini è la condivisione di ciò che si possiede, del poco che si ha, e non la critica nei confronti di quanti hanno tanto e non lo condividono.

Oggi abbiamo un Papa che ha scelto di ispirare il suo pontificato a Francesco, sin dal nome... Francesco è un Papa che ha il coraggio di essere cristiano, di testimoniare Cristo, di attualizzare il suo messaggio – vivo e vero – e di farlo arrivare alle persone semplici, ma anche a quanti si sentono «padroni» del Pianeta. Papa Francesco è un vero testimone degli insegnamenti di Gesù di Nazareth. Il suo è un messaggio di giustizia, di equità. Penso anche alla sua ultima straordinaria enciclica sul creato, Laudato si’, che non riguarda le «liturgie» ma coinvolge l’economia, la scienza, l’ecologia, attraversando il nostro vivere quotidiano. Un esempio: se tu togli il lavoro a una persona perché ti conviene, per pochi centesimi, o chiudi una fabbrica per spostarla da un’altra parte, stai tradendo il messaggio cristiano. Questo Papa sta dando voce a una generazione che spera in un futuro diverso e migliore.  La scheda

Eugenio Finardi nasce a Milano il 16 luglio 1952. La sua carriera ha inizio negli anni Settanta come musicista rock. Comincia scrivendo canzoni con testi in inglese e, nel 1973, la Numero Uno (casa discografica di Mogol e Lucio Battisti) pubblica il suo primo 45 giri (Spacey stacey). Passa poi ai testi in italiano, pubblicando nel 1975 Non gettate alcun oggetto dai finestrini. Il successo arriva l’anno seguente con Sugo (La radio e Musica ribelle) e, nel 1977, Diesel (Non è nel cuore, Diesel e Non diventare grande mai). Dalla collaborazione con il gruppo Crisalide nasce l’album Blitz del ’78, che contiene i brani Extraterrestre e Cuba. Nel 1983 è la volta di Dal Blu con Le ragazze di Osaka e Amore diverso. Seguono Vorrei svegliarti (Sanremo 1985), preludio dell’album Colpi di fulmine. Esce successivamente Dolce Italia e Il vento di Elora fino ad arrivare a La forza dell’amore, una rilettura in chiave moderna di tutte le sue canzoni, con la partecipazione di Ligabue, Ivano Fossati e Rossana Casale. Molto apprezzati i suoi passaggi in blues con Anima Blues o nella musica portoghese in O fado, fino ad arrivare a oggi con Fibrillante e la versione acustica Parole e musica.    

ALDO NOVE San Francesco con gli occhi del nipote  

 a cura di Alberto Friso

È poeta e prosatore, Aldo Nove, tra i più in voga del momento: per il libro che ha dedicato alla storia di Francesco d’Assisi ha unito i due stili in un tutt’uno, sull’esempio dell’inarrivabile Christian Bobin. L’esito è Tutta la luce del mondo (Bompiani 2014), romanzo che l’autore sta portando nelle piazze d’Italia in compagnia di grandi cantanti, da Jovanotti a Patti Smith, da Angelo Branduardi a Eugenio Finardi.

Msa. Da letterato, cosa la colpisce di quanto san Francesco ha scritto? Nove. Innanzitutto la più bella poesia italiana, e forse non solo italiana, il Cantico di frate Sole. Poi mi piace l’efficacia della sua concreta essenzialità, la sua scrittura scabra… Penso ad esempio alla lettera scritta da Francesco ad Antonio di Padova: è brevissima, sembra quasi un tweet! Un santo che per motivi letterari trovo – in altro contesto culturale – vicino a Francesco è Ignazio di Loyola, perché sia gli Esercizi spirituali che Il racconto del Pellegrino sono molto essenziali, poco retorici. Già nella vita di Francesco scritta da san Bonaventura, che pure fu un grande scrittore e francescano, non si trova la straordinaria freschezza di stile dell’assisiate, il suo scrivere urgente e illuminato.

Proprio di luce lei parla già nel titolo del libro, dove racconta Francesco con gli occhi del nipote dodicenne. Bisogna tornare bambini per capire san Francesco? Credo di sì, lo dice anche Gesù che è necessario per entrare nel regno dei cieli, no? Mi è capitato, frugando nei documenti dell’Assisi del XIII secolo, di scovare in un’attestazione notarile il nome di Piccardo, figlio di un fratello di Francesco, Angelo, anche lui, come di prassi in famiglia, mercante di stoffe. Questo nipote del santo si era impegnato affinché una cappellina (l’oratorio di san Francesco Piccolino, ndr) in cui lo zio andava a pregare non venisse inglobata in una panetteria. Di Piccardo non si sa molto altro, se non che aderì all’ordine francescano secolare. Scegliere il punto di vista del nipote dodicenne mi ha permesso di raccontare il dramma familiare che Francesco aveva provocato in casa e la genuina curiosità del bambino di scoprire la figura dello zio.

«Ogni cosa nuova è per sempre» scrive nel testo. Francesco, Chiara, Antonio sono dei «nuovi per sempre» anche oggi? Rimanendo nell’ambito della letteratura c’è una frase di Ezra Pound che amo: «Il classico è il nuovo che resta nuovo». Cioè: la novità del messaggio di Gesù Cristo è perennemente rinnovata, così come è perennemente rinnovata la figura di Francesco. Lo dimostra il tempo: certo, ciascuna epoca ha i suoi miti, ma ci sono vicende che vanno oltre e che rimangono. Sono queste le res novae.

I santi sono troppo grandi e quindi distanti, o la loro è una strada percorribile? «Tutta la luce del mondo» se la sono presa loro, o ne hanno lasciata un po’ anche a noi? Hanno semplicemente indicato tutta la luce del mondo. Il Cantico di frate Sole è questo. Qual è la grande rivoluzione di Giotto nell’arte? Che non c’è più una rappresentazione sacra astratta, ma un individuo concreto, di una famiglia borghese, un mercante di stoffe che ha deciso di vivere un’esistenza diversa. Proprio con Francesco si dimostra che ogni creatura può vivere un’esistenza all’insegna dell’eccezionalità proposta da Gesù Cristo.

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017

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