Famiglie e sacerdoti: accogliamoci!
«Cari Edoardo e Chiara, siamo una coppia sposata da dieci anni, abitiamo nella provincia di Treviso e abbiamo tre figli di 7, 4 e 2 anni. Vi scriviamo perché sappiamo che vivete nel convento di Camposampiero, poco fuori Padova, insieme ai frati, e volevamo chiedervi qual è la vostra esperienza e opinione rispetto al rapporto tra il clero e le famiglie. Io e mia moglie siamo cresciuti all’ombra del campanile, io nell’Azione cattolica e mia moglie negli scout e oggi, anche come famiglia, vorremmo continuare a frequentare la nostra comunità parrocchiale come sposi e come genitori. Purtroppo da qualche anno stiamo facendo molta fatica a sentirci accolti dal nostro parroco e un po’ anche dalla comunità. Durante la Messa ci sentiamo degli indesiderati perché i nostri figli, ovviamente, creano un po’ di confusione. Sembra che le Messe siano pensate più per gli adulti e gli anziani che per i bambini e i ragazzi (per poi lamentarsi che i giovani non si avvicinano alla Chiesa). Da un po’ di tempo chiediamo al parroco di far partire un gruppo coppie nuovo, uno spazio dove stare tra famiglie, condividere le fatiche e mettere la fede al centro, ma sono anni che ci rinvia dicendo che ci penserà, che ne parleremo, ma poi non succede nulla, mentre trova il tempo per organizzare altro (ad esempio, le sagre). Il nostro amato papa Francesco ha a cuore la famiglia e ne parla spesso, ma poi come si fa se nelle nostre parrocchie “non si muove foglia che il prete non voglia” e la pastorale familiare viene relegata all’ultimo posto?».
Lettera firmata
Carissimi, il tema che toccate è importante e complesso da sviscerare, ma ci proviamo. Ovviamente dobbiamo partire dal primo evidente dato che sia voi che noi abbiamo ben presente: gli uomini di Chiesa sono prima di tutto uomini. La grazia del loro sacramento non li rende immacolati, esenti da storture, sbagli e peccato. Sarebbe idealmente bello che chi sceglie il sacramento dell’ordine avesse in sé il carisma del buon pastore e si prendesse cura delle sue pecorelle, in particolare delle famiglie e dei bambini, ma non è scontato che sia così. La parola clero significa «ciò che tocca a sorte»: il Signore non ha scelto i migliori, neppure i peggiori, ma ha scelto a caso (fa un po’ sorridere immaginarsi un Dio che estrae da una sorta di pallottoliere la vocazione delle persone come fossero numeri del lotto).
La questione vera in gioco, allora, è creare una vera corresponsabilità con i laici e in particolare con quei laici che vivono l’altra consacrazione, quella coniugale. Saranno necessari tempo e riforme perché ciò possa realmente avvenire, ma siamo convinti che questo lento percorso ormai è iniziato e difficilmente si potrà arrestare.
Qualche anno fa, io (Edoardo), frequentando un master in «Politiche familiari», ho avuto l’occasione di approfondire le politiche a favore dei bambini. Mi colpì, allora, un concetto semplice quanto efficace relativo alle città a misura di piccoli: una città che mette al centro i bambini è una città che diventa buona per tutti. Perché ci sono parchi pubblici, panchine, marciapiedi più ampi, meno traffico in centro e altro ancora, tutte cose che vanno, per esempio, anche a vantaggio degli anziani o dei disabili. Una città in cui i bambini possono correre e andare in giro sicuri, diviene in modo naturale una città più vivibile anche per gli adulti. E così, una Messa domenicale adatta ai bambini piccoli è una Messa in cui tutti possono stare meglio, partecipando e godendo della relazione con Cristo. Ed è pure una celebrazione più gioiosa. Mettere al centro i bambini, poi, significa prendersi cura dei loro genitori, del loro matrimonio, del loro benessere: gruppi di famiglie che si trovano, feste per le famiglie, cinema per le famiglie, momenti di gioco per i bambini e altro ancora. Questo richiederebbe però (e adesso la… spariamo grossa!) che ogni parroco avesse una coppia sposata con figli minorenni al suo fianco, che il parroco e la famiglia fossero veramente corresponsabili «alla pari» della pastorale e delle scelte d’indirizzo (ovviamente, poi, entrambi dovrebbero fare riferimento al consiglio pastorale), uguali nella responsabilità, diversi nel modo di viverla.
Traendo spunto dalla nostra esperienza, sappiamo bene che questa convivenza ha una sua complessità, richiede cura, pazienza, capacità di accogliersi nella diversità e nelle specificità. Comprendiamo che le attenzioni che noi come coppia abbiamo non possono averle un frate o un prete, e su questo dobbiamo anche esercitare il carisma che contraddistingue noi famiglie: la capacità di accogliere. Siamo noi che accogliamo i figli, anche quando sono ammalati o disabili; siamo noi che ci prendiamo cura dei nostri genitori anziani; siamo noi che accogliamo nelle nostre case. Forse tocca ancora a noi famiglie esercitare quella tenera pazienza anche nei confronti del nostro «don» quando non ci capisce, quando ci trascura, quando non ci sostiene.
Facciamo entrare i sacerdoti nelle nostre case, ascoltiamoli e forse scopriremo che loro hanno bisogno di noi almeno quanto noi abbiamo bisogno di loro.
Edoardo e Chiara Vian
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