Francescani in Cina: la via del dialogo
Sarà di certo poco francescano attribuirsi il primo posto, ma la storia parla chiaro: due secoli e mezzo prima dei gesuiti, che giunsero in Cina alla metà del Cinquecento (un nome su tutti: Matteo Ricci), erano stati dei francescani a varcare per primi i confini dell’«Impero celeste» per predicare il Vangelo.
Eppure quando, nel 1226, Francesco d’Assisi morì, la Cina non era certo nelle priorità dell’Occidente. Ma nemmeno a un anno dalla morte dell’assisiate si spense Gengis Khan, fondatore dell’impero mongolo, e il figlio Ogodai cominciò la sua avanzata verso l’Europa con le orde dei Tartari.
Nel 1245, in apertura del Concilio di Lione, papa Innocenzo IV fu così costretto a porre la questione del remedium contra Tartaros e, in tale contesto, si decise di inviare a Karakorum (allora capitale dell’impero mongolo) un legato pontificio per invitare il Khan e la sua popolazione a convertirsi al vangelo. Per tale compito fu scelto il francescano Giovanni da Pian del Carpine che giunse dinanzi al nuovo imperatore Guyuk nel luglio del 1246, portando con sé due missive papali.
La sua missione, in realtà, non sortì alcun effetto, ma gli fu risparmiata la vita e quando, l’anno dopo, fece ritorno in patria fu accolto da tutti con stupore. Quando poi, attorno al 1260, i fratelli Polo (Matteo e Niccolò, padre del più famoso Marco) giunsero alla corte del Khan, trasferitasi nel frattempo a Pechino, furono accolti dall’imperatore Qubilai che chiese loro notizie «di messere il papa». E quando i due fratelli, dopo nove anni, tornarono in patria, portarono al Pontefice la richiesta di Qubilai di tornare accompagnati da savi uomini di fede.
Bisognò attendere il 1287, però, perché il dotto francescano Giovanni da Montecorvino partisse per la Cina. Egli visse alla corte del Khan per trentaquattro anni, cercando di inculturare la liturgia traducendo il Salterio e il Nuovo Testamento nella lingua tartara.
Purtroppo, la Chiesa nata dalla sua attività missionaria non resistette alla cacciata dei Mongoli e all’insediamento della dinastia Ming (1368) che rifiutò ogni influenza considerata straniera, compresa la religione cristiana.
Dopo secoli di alterne vicende, nei quali mai mancò né l’impeto missionario né la testimonianza del martirio, si giunse (nel 1911, con la proclamazione della Repubblica di Cina) a un periodo di grande e relativamente pacifica presenza francescana, che contribuì, nel 1946, alla nascita ufficiale della Chiesa cattolica in Cina.
Nel 1948, alla vigilia della presa di potere del regime marxista-maoista, vi erano in Cina 706 frati minori, 150 dei quali indigeni, e 28 conventi oltre alle case di missione e alle residenze dei Vescovi.
Con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese (1949) le missioni cattoliche furono considerate strumenti dell’imperialismo occidentale e le autorità imposero ai fedeli di staccarsi dalla Chiesa universale.
Negli anni, i missionari stranieri vennero via via espulsi e si instaurò un clima di persecuzione contro i cattolici che non seguissero le indicazioni del governo, che toccò il suo culmine negli anni della Rivoluzione Culturale (1966-’76).
Dalla fine degli anni ’70 la situazione si è andata stemperando anche nei riguardi della presenza francescana che, soprattutto di recente, sta riprendendo quota.
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