Un mese per le missioni
Sono trascorsi cento anni da quando papa Benedetto XV, nell’enciclica missionaria Maximum Illud, spiegò con lungimiranza che la Storia universale della salvezza non poteva essere richiamata a giustificazione delle chiusure nazionalistiche ed etnocentriche delle potenze coloniali del tempo. Da attento osservatore, il Pontefice genovese – che stigmatizzò la Prima guerra mondiale definendola «l’inutile strage» – scrisse con coraggio profetico che l’annuncio del Vangelo non doveva essere confuso con le strategie di quelle nazioni europee che intendevano innanzitutto e soprattutto salvaguardare i propri interessi economici e militari.
Prendendo lo spunto da tale centenario, papa Francesco ha indetto per questo ottobre uno speciale mese missionario, con l’intento dichiarato di risvegliare la coscienza dei credenti. A questo proposito, nel tradizionale messaggio per la Giornata missionaria mondiale (Gmm) – che quest’anno si celebra il 20 ottobre sul tema: «Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo» – il Pontefice ci ricorda che la Chiesa, per sua vocazione, deve essere «in uscita fino agli estremi confini». Ecco che allora, leggendo il testo, è evidente che papa Francesco non ha dubbi nell’affermare la teologia del Regno. «Noi non facciamo proselitismo», perché la fede cristiana «non è un prodotto da vendere, ma una ricchezza da donare». «Quanti santi, quante donne e uomini di fede ci testimoniano, ci mostrano possibile e praticabile questa apertura illimitata, questa uscita misericordiosa come spinta urgente dell’amore e della sua logica intrinseca di dono, di sacrificio e di gratuità», sottolinea il Papa. Che prosegue: «Chi ama si mette in movimento, è spinto fuori da se stesso, è attratto e attrae, si dona all’altro e tesse relazioni che generano vita. Nessuno è inutile e insignificante per l’amore di Dio».
Viene allora spontaneo domandarsi: se Cristo fosse oggi presente nella nostra società, fisicamente, come duemila anni fa, dove andrebbe? Nel Vangelo di Marco (1, 14 ss.) leggiamo che «Gesù andò nella Galilea». Iniziò, quindi, a evangelizzare in una regione lontana dall’istituzione religiosa giudaica, una terra di confine, a diretto contatto con i pagani. E poi Marco aggiunge: «Proclamando il Vangelo di Dio», cioè la Buona Notizia di Dio. Vale a dire l’affermazione, potremmo dire noi oggi, di un «mondo capovolto», quello di un Dio che dà se stesso, che non castiga, ma perdona. E cosa gridava a gran voce il Messia? «Il Regno di Dio è vicino». Nella nuova relazione con Dio che Gesù propone, non c’è più una legge, un codice esterno all’uomo che l’individuo deve osservare, ma c’è l’accoglienza e la pratica dell’amore secondo lo spirito delle Beatitudini. D’altronde, al centro dell’attività missionaria, che è connaturale alla Chiesa (senza missione non c’è Chiesa), si colloca proprio il Regno di Dio. E sebbene, come leggiamo nell’enciclica di san Giovanni Paolo II Redemptoris Missio, «non si possa disgiungere il Regno dalla Chiesa. Certo, questa non è fine a se stessa, essendo ordinata al Regno di Dio, di cui è germe, segno e strumento» (18). Sta di fatto che questo Regno, che oggi si manifesta nella presenza di Cristo nella nostra Storia, è qualcosa di meraviglioso e avvincente per chi ha avuto il dono di farne l’esperienza. Un Regno di cui i santi, che la Chiesa venera con rigore, hanno annunciato e testimoniato. È chiaro che quando si realizzano nel mondo situazioni di pace, di giustizia, di riconciliazione, quando viene rispettata l’integrità del Creato… tutte queste dimensioni rimandano al Regno.
Una cosa è certa: «Siamo figli dei nostri genitori naturali, ma nel battesimo ci è data l’originaria paternità e la vera maternità», ricorda papa Francesco, secondo il quale «non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come madre».
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