Giuro che non avrò più fame
In un’Italia al vetriolo, del tutti contro tutti, in cui senso delle istituzioni, voglia di solidarietà e di futuro sano – quello che si costruisce con pacata ma ferma determinazione – sembrano estinti, leggere queste pagine di Aldo Cazzulo equivale a respirare una boccata d’ossigeno. Perché nel clima di disillusione e di sfiducia in cui siamo immersi, abbiamo davvero bisogno di libri che ci ricordino chi siamo stati noi italiani, in un recentissimo passato. E chi potremmo essere, se solo ci decidessimo a dissotterrare i nostri mille talenti: creatività, ingegno, voglia di fare, determinazione, solidarietà, simpatia. Conditi magari da un «pizzico» di onestà che, come il sale, serve a dare gusto a tutto il resto.
Nel 1948, all’indomani del secondo tragico conflitto mondiale, l’Italia era in ginocchio. Un Paese da ricostruire. «Avevamo 16 milioni di mine inesplose nei campi – scrive Cazzullo –. Oggi abbiamo in tasca 65 milioni di telefonini, più di uno a testa, record mondiale. Solo un italiano su 50 possedeva un’automobile. Oggi sono 37 milioni, oltre uno su due. (…) I giornali non pubblicavano diete, ma consigli per alimentarsi con poco. Il problema non era dimagrire, era ingrassare. (…) Eppure eravamo più felici di adesso. Al mattino si diceva: “Speriamo che oggi succeda qualcosa”. Ora si dice: “Speriamo che oggi non succeda nulla”».
La ricostruzione (o Ricostruzione, con la «R» maiuscola, come scrive Cazzullo) è stato uno dei grandi momenti della storia italiana. Che ci ha fatto capire chi eravamo: gente con la schiena dritta, capace di lavorare e divertirsi, di faticare dodici ore al giorno e uscire la sera a ballare. Gente che si appassionava alla politica e non si limitava a criticarla senza riconoscere che i vizi dei politici sono gli stessi del popolo. Che, soprattutto, sapeva guardare al futuro con fiducia.
Che fine ha fatto quell’Italia? Sparita per lasciare spazio a un Paese accidioso. Dove «la roba» conta più delle persone. E dove il futuro è dato per scontato. Ma ogni generazione, dice ancora Cazzullo, ha le sue guerre da combattere e da cui rinascere. La nostra, meno cruenta, è la recente crisi economica che ha spazzato via molte certezze.
«Il segno dei nostri tempi è il degrado dei rapporti umani – conclude Cazzullo –. È il tempo dell’aggressività spicciola, delle grida nel traffico, degli insulti in Rete. Non è solo questione di buone maniere. È il rapporto tra le persone a essersi impoverito e involgarito. Nessuno si fida più di nessuno. (...) Ma nessuna economia può prosperare, nessuna società può essere tenuta insieme, senza la fiducia».
È l’ora di tornare a combattere per il nostro futuro, abbandonando quel «torpore rancoroso» che ci ha avvolti. Riscoprendo voglia di fare, fiducia e solidarietà (anche e soprattutto con le giovani generazioni e con quelle future). Riscoprendo il sorriso. E quel «pizzico» di onestà che restituisca il gusto della vita vera.