Il pane di montagna di sant’Antonio
Nei miei viaggi dietro alla devozione antoniana ho sempre trovato il pane. Ho visto i frati di Istanbul distribuirlo ai rifugiati della Siria e alla gente rom. A Messina, a fine Ottocento, una donna promise al Santo di donare il pane se sfuggiva al contagio del colera: oggi i padri rogazionisti di quella città, nel nome di Antonio, danno cibo a centinaia di persone e rivendicano, con orgoglio, di aver ripreso per primi la tradizione del «pane». A Tolone, in Francia, in quegli stessi anni, il miracolo fu più terreno: una porta che non si apriva, un fabbro che voleva sfondarla, una donna che implorò l’aiuto del Santo. La stessa promessa: il dono del pane. Antonio ebbe a cuore anche il piccolo problema della donna. La porta si aprì. E lei mantenne il suo impegno verso la gente più povera.
È una storia antica, questa del pane. Erano gli anni in cui si stava costruendo la basilica di Padova, il Santo era morto da poco. Avvenne una tragedia: un bambino, meno di due anni, stava giocando attorno a un mastello d’acqua. Inciampò, cadde a testa in giù e annegò. La madre non aveva più lacrime, poteva solo pregare. Arrivarono i frati, la preghiera fu profonda, disperata. Il bambino ritrovò la vita. Fu questa donna a donare tanto grano quanto era il peso di suo figlio. Cominciò così una storia di misericordia che ancor oggi è ben viva.
Per il giorno del Santo, 13 di giugno, torno a Rotonda, paese del Pollino lucano. So che Mario, nel suo forno casalingo, con l’immagine del Santo alle spalle, i volti delle Madonne e la foto della squadra di calcio più amata, sta impastando la farina per ottenere i pani di Antonio, patrono del paese. Il suo giorno è la grande festa di Rotonda. Don Stefano benedirà questi pani in montagna. Sarà un cibo felice.