Per i pesci. E per i pescatori
Ho sempre amato i pescatori. Certo, le parabole evangeliche: gli uomini del lago Tiberiade che diventano gli apostoli di Gesù. Ma io, senza essere mai salito su un peschereccio, ne amo l’odore, le mani scorticate, le cicatrici delle reti, il freddo della notte, il rientro al mattino. Ho visto i pescatori dei laghi africani arrivare, pagaiando, su spiagge melmose: due soli pesci nel fondo della canoa. Ho visto i cacciatori (loro non si chiamano pescatori) di pesce spada nel canale di Messina: hanno sguardi di falco e sanno di insanguinare una straziante storia d’amore tra due animali. So che i loro figli non faranno i pescatori. Ho visto i pescatori di Piombino attraccare al porto con le cassette del pesce azzurro. Sardine e acciughe. Stormi di gabbiani volavano, nervosi e golosi, attorno alla loro barca. Allora, mi dissero, se ne pescavano 400 mila cassette all’anno. Niente di epico: i camioncini aspettavano i pescherecci e se ne partivano via.
Mestiere condannato? I pescatori di pesce spada, nello stretto di Messina, si contano sulle dita di una mano. A Mazara del Vallo, mi dicono, i pescherecci erano oltre 400, ora sono meno di 80.Il 74 per cento del pesce che consumiamo in Italia è importato. I biologi marini insistono: barche più piccole, reti a maglie larghe. Teresa, a Ganzirri, là dove la Sicilia osserva da vicino la Calabria, mi disse: «Amo i pesci. Li studio, li conoscono. Una volta vidi un arpioniere esitare di fronte a un maschio impazzito di dolore: la sua femmina era stata catturata. Per un istante benedetto, l’uomo fermò il suo braccio e quel pesce spada decise di sopravvivere e fuggì. Piansi di una gioia istintiva. Ma conosco anche i pescatori, so della loro fatica. E non voglio che scompaiano».
Per questo, ho scelto questa foto senza trucchi: per i pesci e per i pescatori.