La vigna
Non sono andato lontano per scattare questa foto. Pomeriggio di autunno. Pochi chilometri da casa, prime colline del Chianti, vigne di un vino celebre. So che mio padre, mille anni fa, ha lavorato attorno a queste vigne. Non zappava, ma credo che ne sapesse di vino. Ho conosciuto Giacomo Tachis, il più bravo tra gli enologi italiani del ’900: è lui il primo architetto di questa bellezza. Una volta, seduti al tavolo di una trattoria, mi disse: «La qualità del vino la fa la vigna». So che lo ha ripetuto ogni volta che ha potuto.
Vado a cercare (oggi è facile, c’è internet. Mannaggia, nemmeno la soddisfazione di ritrovare una pagina su un libro smarrito) una frase di Leonardo da Vinci: «Il buon vino è frutto di fatica». Deve essere ancora così, a guardare il lavoro meticoloso di queste vigne. «Una vigna sale sul dorso di un colle fino a incidersi nel cielo», e questo è Cesare Pavese, altre vigne, lontane da qui. E ancora: «È una vista familiare… infantile, a dirla breve, ma scuote ogni volta». Già, scuote ogni volta. E poi la prima vigna della nostra storia: piantata da Noè non appena ritrova, dopo il diluvio, una terra che può essere coltivata. I monaci del Medioevo che hanno saputo affinare l’arte della vigna. E le antiche vigne del monastero salesiano di Cremisan minacciate dal Muro israeliano là, a un passo da Betlemme, dove vignaioli cristiani e musulmani lavorano assieme.
L’uva è stata raccolta. Volevo rivedere queste terre. Scelgo una foto dove i filari disegnano una discesa sulla collina e si confondono con siepi e alberi. Un paesaggio disegnato dall’uomo, questo è artigianato di contadini. E una vigna che sta cambiando i suoi colori, a un passo dal timore dell’inverno, «apre plausibili vedute di nostalgia e di speranza».
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