La Squadra dei rifugiati alle Olimpiadi
La trentunesima edizione delle Olimpiadi, in programma dal 5 al 21 agosto a Rio de Janeiro, in Brasile, sembra aver ritrovato il suo spirito originario e più genuino. E sarà certamente ricordata per l’impegno concreto profuso a favore dei rifugiati, almeno in forma simbolica, qualunque sia stata la motivazione che li ha costretti a lasciare i loro paesi di nascita.
È nata così la Squadra olimpica dei rifugiati, il Refugee Olympic Team, che rappresenta idealmente e trasversalmente tutti quei paesi i cui atleti di ogni disciplina non hanno trovato le condizioni sociali e politiche per poter gareggiare.
Dopo un’accurata selezione, il Cio, Comitato olimpico internazionale, ha individuato una decina di atleti che avranno anche il privilegio di sfilare alla cerimonia inaugurale dei Giochi, perfino prima del Brasile, paese ospitante. A fare la parte del leone della Squadra dei rifugiati è il Sud Sudan con ben 5 atleti.
Dall’Africa i talenti dell’atletica
Yiech Pur Biel ha appena 21 anni. È fuggito nel 2005 dal Sud Sudan prima di trovare rifugio nell’immenso campo profughi di Kakuma, in Kenya. In Sud Sudan Yiech ha lasciato i suoi genitori e nove fratelli. A scuola giocava a calcio. Successivamente ha scoperto l’atletica leggera. A Rio correrà gli 800 metri. Per lui le Olimpiadi sono più che un’opportunità sportiva: «Essere chiamato “rifugiato”, significa per me essere diventato un ambasciatore di tutti i rifugiati!».
Un altro atleta del mezzofondo che correrà la distanza degli 800 metri a Rio, è la ventitreenne Rose Nathike Lokonyen sfuggita alla cattura dei militari in Sud Sudan, e anch’essa proveniente dal campo profughi di Kakuma. Lokonyen si è fatta notare arrivando seconda in una gara tra i profughi del suo campo. E oggi è emozionatissima per il solo fatto di essere definita un’«atleta olimpica».
«Alle Olimpiadi corri con il mondo», dice Paulo Amotun Lokoro, 24 anni, anch’egli scappato dal Sud Sudan, e che si è allenato intensamente in Kenya dopo aver fatto invariabilmente tappa, come tanti altri, nel campo di Kakuma. Il suo traguardo è dichiaratamente ambizioso: «sogno di polverizzare il record del mondo, e di vincere la medaglia d’oro nella gara dei 1.500 metri».
Anjelina Nadai Lohalith, un’altra mezzofondista. A Rio parteciperà alla gara dei 1.500 metri. «Rio ti permette di incontrare persone diverse, di interagire con loro, di imparare tecniche e segreti della pratica sportiva e della tua disciplina – dice –. Ma è pure una straordinaria opportunità di vedere posti nuovi dove non sono mai stata prima».
James Nyang Chiengjiek, 28 anni, è il quinto componente della nutrita rappresentanza dei fuoriusciti del Sud Sudan. A Rio correrà i 400 metri. Ha iniziato a praticare sport a scuola. Lo sport per lui è un modo di affrontare le avversità della vita: «allenarsi è un lavoro duro. E qualsiasi cosa al mondo è un lavoro duro. Se ti viene data una possibilità, devi affrontarla nel modo giusto».
«Sono qui, sono vivo. Sono felice e fortunato». È di poche parole il maratoneta etiope trentaseienne Yonas Kinde. Vive in Lussemburgo dal 2012. Ha cominciato a correre fin da ragazzo nel mezzofondo, sui 10mila metri. Ma da quando è arrivato in Europa, è passato alle lunghe distanze. «Quella delle Olimpiadi è per me un’ottima opportunità. A Rio farò del mio meglio!».
I judokas del Congo
Popole Misenga, 24 anni, e Yolande Mabika, 28, vengono dalla Repubblica Democratica del Congo. Sono originari della città di Bukavu. Vivono in Brasile da tre anni. Nel 2013, per sfuggire alle devastazioni della guerra nel loro paese, chiesero asilo politico quando si trovavano a Rio per i Campionati mondiali di Judo. Una scelta radicale, difficile. Tuttavia «non bisogna mai smettere di sperare, di avere fiducia in se stessi» è il monito di Mabika, nonostante le tragedie che possono capitare. Lo sa bene Misenga la cui madre è stata uccisa durante la guerra in Congo. Mentre i suoi fratelli sono scomparsi.
I due nuotatori siriani
La Siria si presenta con due talenti del nuoto: Yusra Mardini e Rami Anis. Per Yusra Mardini è più che un sogno. Dieci mesi dopo aver lasciato Damasco con sua sorella Sarah, la giovanissima nuotatrice siriana ha iniziato una nuova vita a Berlino. Nella capitale tedesca si è allenata e ha trovato le condizioni giuste per esprimere tutto il suo potenziale.
Rami Anis è il venticinquenne nuotatore siriano più veloce nei 100 metri farfalla. Oggi vive vicino a Gand, in Belgio. Chiamato sotto le armi a 20 anni per combattere nella guerra civile in cui è precipitato il suo paese, Anis e la sua famiglia se ne sono andati raggiungendo il fratello in Turchia, prima di trasferirsi definitivamente nelle Fiandre dove ha proseguito gli allenamenti con l’ambizione di seguire le orme del suo idolo del nuoto, Michael Phelps.