Per sant’Antonio, a Rotonda, paese del Pollino occidentale, Lucania a un passo dalla Calabria, le donne offrono pan brioche, vestono i bambini più piccoli con il saio francescano e gli alberi viaggiano dalla montagna più alta fino in paese. È il più lungo tra i nove riti arborei di queste terre, sei giorni di fatica, devozione, ebrezza, felicità. È la festa della pitu. Dell’abete. Che in realtà è un faggio e che, alla fine del lungo viaggio, si unirà con la rocca, davvero la cima di un abete bianco.
Ed è quest’ultimo albero che, giunto al paese, passerà la notte in chiesa. I roccaioli arrivano esausti, hanno portato in spalla l’albero per chilometri e chilometri. Lo hanno fatto a passo di marcia. Indossano magliette con su scritto I fedeli di sant’Antonio o Tutto per il Santo. Hanno medagliette appese al petto come ex-voto. Entrano in chiesa gridando: e..e..e…viva Sant’Antonio! Piangono, applaudono, le zampogne e le fisarmoniche sono colonna sonora. L’albero sfiora l’altare. Occupa tutta la navata. La sua chioma deve essere intoccata, bella, bella: nel giorno del Santo dovrà essere cima della pitu. Don Stefano, il parroco, mi dice: «Il senso della festa è nella fatica offerta al Santo».