05 Maggio 2019

Nostalgia di Belgasin

Cosa non abbiamo capito in Libia? Come è stato possibile? Nessuno poteva prevedere l’inferno libico di oggi. Io, con desolata ostinazione, conservo il ricordo di un’altra Tripoli.

tavolini di un bar a Tripoli

Per anni e anni, sono andato a Tripoli, la capitale della Libia. Accadeva molti anni fa. Accadeva prima …poi, dal primo sparo, pessimo giornalista, me ne sono andato. E ora sono a chiedermi: cosa non abbiamo capito in Libia? Come è stato possibile? Nessuno, dieci anni fa, avrebbe previsto che la tirannia di Gheddafi potesse sbriciolarsi fino a trasformarsi in una guerra continua di milizie. Nessuno avrebbe previsto l’inferno libico. Questa è una storia dove non ci sono innocenti. Ci sono vittime: gli uomini e le donne disarmati della Libia e i migranti intrappolati in un mattatoio. È stato scoperchiato un vaso di Pandora, il gioco è sfuggito di mano a chi aveva l’arroganza di pensare di poterlo controllare. 

E io, con desolata ostinazione, conservo il ricordo di un’altra Tripoli.

Ogni volta che arrivavo in città andavo a trovare, nella medina, la città vecchia, un piccolo uomo, magro e senza età. Una volta mi confessò di aver compiuto, pochi giorni prima, ottanta anni. Belgasin era il custode della moschea Gurgi, la più bella di Tripoli. La più mistica. Ho sempre visto Belgasin indossare la cravatta, il cappello nero dei tripolini, una giacchetta scura (la penna bic nel taschino) e una camicia chiara. Parlava un italiano dolce e spezzato, memoria di scuole italiane e degli anni della colonia. Apriva la porta, mi riconosceva. Aveva un sorriso timido e mi faceva accomodare in una stanzetta ricolma di ombra. Mi invitava a sedermi sul suo letto e mi offriva un bicchier d’acqua. Non credo che Belgasin sia ancora vivo. Da tempo. Per età. E, probabilmente, per il dolore di vedere la sua città spezzata dalla guerra.

La moschea Gurgi è la più bella di Tripoli: piccola, decorata con arabeschi floreali, abbellita da sedici colonne, con un minareto (il più alto della città vecchia) ottagonale. Si trova alle spalle dell’Arco di Marco Aurelio, unico monumento romano di Tripoli: per questo ogni turista che approdava in città (ricordate? Allora la Libia era una meta prediletta del turismo mediterraneo) bussava alla porta di Belgasin. Lui c’era sempre. Spesso erano decine e decine di persone in una sola volta. La moschea era troppo piccola per accoglierli tutti. Belgasin dirigeva il traffico della gente fra le due porte del cortile interno dell’edificio. Sorvegliava che tutti si togliessero le scarpe e si inchinava leggermente se qualcuno offriva una mancia.

Una sera, il vecchio vescovo francescano, Giovanni Martinelli, mi portò in giro per la città vecchia. Cenammo assieme in un piccolo ristorante libanese. Mi disse: «Hai visto com’è bella Tripoli». Già, come era bella Tripoli. Con quella sua aria mediterranea. Con il vento del mare che, perfino in estate, raffrescava l’aria. I tripolini passavano le sere a passeggiare sulle banchine, c’erano le giostre e la risacca delle onde. Belgasin a volte sedeva in un piccolo caffè all’aperto dal quale si vedeva il mare.

Data di aggiornamento: 05 Maggio 2019
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