Obbedienza, virtù o tentazione?
«L’obbedienza è l’unica virtù che unisce a sé le altre virtù e che le custodisce e le conserva», dice sant’Antonio. «L’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni», obietta don Lorenzo Milani. Eppure entrambi si ritrovano nella parola del Santo: «Finché si obbedisce di cuore ai superiori, noi vediamo veramente Dio».
Tutto sta in quei «di cuore» e «superiori», cioè nella gestione della propria responsabilità di fronte al vero che nessun potere può interdire. Don Milani vide Dio sia obbedendo fino al paradosso a superiori che negavano il bene della sua opera, sia disobbedendo ai concetti militaristici di difesa e di offesa che avevano portato a due guerre mondiali, carneficine di poveri.
Il 6 agosto 1945, il giorno di Hiroshima, il mondo perse la propria innocenza: l’obbedienza a un ordine «costrinse» l’equipaggio dell’Enola Gay a fermare, in un istante, la vita di centomila persone. È lunga la conta di quanti, con la loro «obbedienza», hanno devastato l’umanità perché «bisognava farlo». E, così, il male – il Male – è diventato, scrive Hannah Arendt, semplicemente «banale», incolpevole doverosa esecuzione di consegne, un dettaglio.
A cinquant’anni dalla morte di don Lorenzo Milani, il tema dell’obbedienza ritorna, anche se oggi non riguarda l’obiezione di coscienza o «la guerra giusta», quanto altre obbedienze-schiavitù che inibiscono quello che lui riassumeva nel motto di Barbiana: «I care, mi sta a cuore», e sono ingiustificabili «sviste» sui diritti e la dignità dei poveri. Obbedire, per sant’Antonio, non significa eseguire degli ordini, ma «prestare attenzione», cioè soffermarsi lasciandosi interrogare a fondo dai tempi, dall’ingiustizia e dai volti delle sue vittime; un’obbedienza che è adesione all’umano.
«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido, e sono sceso per liberarlo» (cf Es 3,7-8): Dio stesso ubbidisce e rimane fedele all’umano. Così il nostro Santo: obbediente quando deve improvvisare un sermone, quando è inviato al minuscolo eremo di Monte Paolo, nell’insegnare, nel predicare, nell’amministrare i sacramenti, nell’accogliere e consolare gli afflitti, nel farsi carico dei confratelli.
Diversamente obbediente quando decide di lasciare la comoda abbazia per unirsi ai frati minori verso il martirio, quando difende a muso duro le verità della fede, quando spinge il comune di Padova a cambiare uno statuto ingiusto. Disobbedientissimo quando attacca avari, usurai, prelati ignavi, piccoli tiranni del tempo, tutta gente che pretendeva dura obbedienza.
Quando venite al Santo, fermatevi davanti a un confessionale di fronte alla Cappella del Tesoro. Vedrete il volto di un frate disobbediente che, per non tradire i poveri, fu martirizzato dai nazifascisti: padre Placido Cortese, un altro per il quale una certa obbedienza non era più una virtù, neppure in convento.