Perché gli uomini maltrattano le donne?
I femminicidi scuotono l’opinione pubblica, riempiono i media. Fatti tanto gravi da essere considerati eccezioni, atti di un folle o di un disperato. I dati Istat ci dicono, al contrario, che essi sono la punta di un iceberg di violenza che gli uomini continuano ad agire sulle donne. In Italia più di tre donne su dieci tra i 16 e i 70 anni hanno subito nel corso della propria vita qualche forma di violenza fisica e sessuale. E c’è un’ampissima zona grigia, che sfugge al controllo, fatta di violenze psicologiche come la svalorizzazione della partner, anche di fronte ai figli, il controllo di ogni sua mossa, la tendenza a isolarla da amici e familiari o a impedirle di spendere autonomamente i soldi. Il violento nella maggior parte dei casi è il partner o l’ex partner, non il bruto incontrato per strada. Si tratta quindi di un fenomeno sociale diffuso, che nonostante la modernità e la rivoluzione delle donne perdura nel tempo.
Il Dossier del Messaggero di sant’Antonio cerca di andare alle radici del problema, per capire le cause storiche, sociali e psicologiche di questa violenza. L’intento è tracciare una via che porti al cambiamento e a nuove forme di relazione tra i sessi.
Ecco un estratto del percorso fatto insieme a Marco Deriu, sociologo dell’Università di Parma e membro di Maschile Plurale, associazione nazionale di elaborazione sui temi del maschile in Italia.
I Centri per uomini maltrattanti
«Un importante cambiamento – esordisce Deriu – è già in atto. Per la prima volta l’attenzione dell’opinione pubblica si focalizza non solo sulle vittime ma anche sull’autore della violenza che è, quasi sempre, uomo». Il professore fa riferimento a un nuovo modo di contrastare la violenza di genere, che si sta diffondendo nel nostro Paese. Si tratta di Centri o servizi per uomini maltrattanti, che aiutano gli utenti a uscire dal tunnel della violenza e a instaurare nuove relazioni con le compagne. Dimostrazione che «è maturata la consapevolezza che, se si vuole uscire dal problema, bisogna agire sulla sua origine e comprendere perché c’è un legame storico, culturale e sociale degli uomini con la violenza».
La violenza è un destino?
La violenza contro le donne, di fatto, attraversa i secoli, i continenti, i ceti e le culture. Vien quasi da credere che sia un destino per l’umanità. «Da uomo e da sociologo mi confronto da sempre con questa domanda – ammette Deriu –. Se da un lato è innegabile che la violenza contro le donne sia diffusa e duratura, dall’altro ci sono prove che le relazioni tra i sessi possono essere diverse. L’archeologa lituana Marija Gimbutas ha dimostrato che le antiche società europee (dall’8500 al 3500 a.C.) si erano sviluppate con caratteristiche che oggi definiremmo matriarcali o comunque legate a un modello più paritario tra uomini e donne. I modelli patriarcali deriverebbero dalle successive invasioni di popoli dal Nord Europa, che avevano invece sviluppato assetti militari e guerreschi. Molto significativi anche gli studi di Heide Göttner-Abendroth sulle società matriarcali contemporanee. Ciò ci dice che la sopraffazione di un sesso sull’altro non è la nostra origine e quindi neppure il nostro destino».
Un modello in crisi
Rimane difficile capire come e perché l’assetto patriarcale abbia resistito nei millenni: «L’origine di questo modello è complessa. Uno dei fattori più importanti è il tentativo da parte maschile di controllare il potere di generare la vita delle donne, che gli uomini non hanno. Non è, a mio avviso, un caso che a tutt’oggi la violenza aumenti proprio nel periodo della gravidanza. Quest’esigenza di controllo ha portato alla costruzione di rigidi ruoli e modelli di relazione tra uomini e donne». Modelli che sono stati messi in crisi solo nell’ultimo secolo dal movimento delle donne e dai grandi cambiamenti avvenuti nella società e nella famiglia. «Oggi siamo nel mezzo di questa crisi, ma ripensare un assetto più paritario non è così facile».
Il movimento degli uomini
Il movimento delle donne nasceva dall’urgenza di cambiare una società ingiusta. Che urgenza può avere il lato maschile dell’umanità a cambiare una situazione che sembra di sostanziale vantaggio? E, d’altro canto, come pensare a un cambiamento senza l’apporto degli uomini? In realtà un movimento maschile di autocoscienza esiste da decenni negli Stati Uniti e in Europa. L’Italia per lungo tempo è sembrata assente sul tema. Per la verità, anche nel nostro Paese alcuni gruppi di uomini hanno iniziato un percorso di elaborazione sul maschile già dagli anni del femminismo, ma sono rimasti sostanzialmente sottotraccia. A tutt’oggi il pensiero sul maschile e sul suo rapporto con la violenza non è ancora diventato una riflessione collettiva. Segno che la società fatica a cogliere i vantaggi sociali del cambiamento.
I vantaggi sociali del cambiamento
«Ma i vantaggi ci sono – spiega Deriu –. Solo oggi si comincia a capire che il modello di prevaricazione maschile non riguardava solo le famiglie, ma tutte le dimensioni sociali, compresa quella lavorativa. La rigida separazione tra il lavoro di cura e quello fuori casa, tra donne e uomini, tra vita privata e vita pubblica ha nel tempo impoverito la società intera. Ciò che è fuori dalla vita privata è per definizione sotto le regole della competizione, della produttività e del consumo. Non è un caso se oggi siamo tutti stressati, abbiamo poco tempo per noi, per le relazioni, per tutto ciò che arricchisce la nostra vita».
I vantaggi investono anche la relazione tra i sessi: «Veniamo da secoli in cui gli uomini erano privati della possibilità di costruire una relazione vera con le compagne. Oggi per la prima volta possiamo costruire relazioni più intense, più condivise, più capaci di essere generatrici di vita, perché frutto del riconoscimento dell’altro».
Come arrivare all’uomo nuovo?
Resta da capire che cosa potrebbe agevolare il cambiamento culturale e l’alleanza tra i sessi in vista del bene comune. Secondo il professore ci sono alcuni temi su cui dovremmo riflettere. Innanzitutto, «bisogna smettere di pensare il maschile come una realtà monolitica, per cui tutti gli uomini sono aggressivi e violenti. Un pregiudizio che impedisce di vedere le differenze e di chiedersi, per esempio, perché alcuni uomini sono violenti e altri no. Questa visione oscura un’altra fondamentale verità: la maggior parte dei destinatari della violenza maschile non sono le donne, sono gli altri uomini. Se, dunque, cominciamo a percepire il maschile come uno spazio dinamico, è possibile aprire una riflessione comune». A questo punto cambia la prospettiva: il problema diventa risorsa. «Riconoscere la violenza subita in famiglia e nella società renderebbe gli uomini in grado di elaborare una visione critica della violenza e di diventare agenti attivi di cambiamento».
Nel Dossier altri approfondimenti: un focus sul lavoro dei Centri per uomini maltrattanti con un’intervista ad Alessandra Pauncz, psicologa che ha aperto il primo centro di questo tipo in Italia. Il racconto in prima persona di Giuseppe Pavan, il fondatore di Uomini in cammino, uno dei primi gruppi di riflessione, nato all'interno di una comunità cristiana di base. Il dossier completo si trova nel numero di marzo 2018 del Messaggero di sant’Antonio o sulla versione digitale della rivista. Provala ora!