Raffaele, dono d'Amore
«Caro direttore, vorrei condividere con i lettori una storia che mi ha segnato e che definisco come un meraviglioso passaggio di Dio. E si sa che, quando Dio passa, non ti lascia mai come ti ha trovato.
Tutto ebbe inizio il 2 luglio 2016, allorquando nasceva a Roma un bambino con una grave malattia, la sindrome di Edwards, tanto grave da renderlo incompatibile con la vita. La madre lo aveva lasciato in ospedale, e i servizi sociali avevano provveduto perché gli fosse dato un nome e fosse adottato. Ma la grave malattia rendeva questo bambino, che finalmente aveva un nome, Raffaele (nome di fantasia, ndr), difficilmente adottabile.
I primi giorni di agosto mia sorella, infermiera presso l’ospedale dove Raffaele era stato ricoverato, mi disse che l’assistente sociale e la psicologa stavano cercando volontari che si prendessero cura di lui qualche ora a settimana: «Qualcuno che lo prenda almeno in braccio», così mi aveva detto l’assistente sociale quando andai a fare il colloquio. Eppure, l’assurdità si manifestò nel tutore legale di Raffaele, che tardava a firmare il consenso. Allora iniziò un servizio parallelo, fatto di preghiera. Com’era possibile che questo consenso tardasse ad arrivare, per un bambino per il quale ogni giorno di vita era un giorno strappato alla morte? Ma il cuore di Dio lavorava insieme ai nostri cuori che pregavano incessantemente fino a quando, il 29 settembre, festa degli Arcangeli, la situazione si sbloccò. Iniziai il mio «pellegrinaggio» in ospedale.
Il lunedì pomeriggio divenne il giorno di Raffaele: ricordo l’emozione di vederlo, il timore di non essere in grado di prendermene cura ma l’intuizione profonda del cuore che ero entrata in un progetto straordinario d’amore. Era il 24 ottobre quando lo vidi per la prima volta: occhi blu, magrolino, con diversi tubicini attaccati al corpo e gli elettrodi con disegnate sopra delle paperelle. Oltre a me sarebbero venuti altri volontari, perché è proprio vero che quando la vita ti toglie qualcosa, Dio te la dona centuplicata.
Del secondo giorno che andai a trovarlo ricordo, vivida, la frase di un’infermiera; le chiesi se andasse bene come stavo tenendo in braccio Raffaele e lei rispose: "L’importante è che non ti senti inadeguata". È vero, pensai, non saremo mai inadeguati se staremo amando.
Andai a trovare Raffaele altre quattro volte, dopodiché, tornò alla casa del Padre. La sua missione di bellezza e semplicità era terminata. Era il 28 novembre 2016 e Dio mi concesse di essere presente la sera della morte. Era lunedì, Raffaele aveva la febbre molto alta. Lo tenevo in braccio, canticchiavo e lo accarezzavo. Poi non so cosa accadde ma la dottoressa si allarmò nel vedere i parametri sul monitor. Qualcosa non andava bene. Intervennero velocemente, ma non vedendo miglioramenti mi dissero che non avrebbe superato la notte. Chiamarono il cappellano che arrivò insieme alle infermiere delle altre stanze e questa piccola chiesa pregò insieme. Fu letta la Parola della figlia di Giairo, il cappellano la commentò e ricordo che disse che la Vergine Maria era presente, che avrebbe accompagnato Raffaele, che non era solo e non lo era mai stato.
Poi rimanemmo soli, io, Raffaele, due infermiere e la dottoressa. L’ho tenuto tra le braccia a lungo, dopodiché la dottoressa decise di sedarlo. Lo accarezzavo sulla guancia sussurrandogli che poteva abbandonarsi tra le braccia di Maria perché la sua piccola marcia era finita, davanti a sé solo il traguardo: il paradiso. Lo salutai verso le 22.00 e venni a sapere che dopo dieci minuti circa Raffaele era salito in Cielo. Provai dolore e tenerezza, ma anche tanta gratitudine verso Dio per aver potuto accompagnare Raffaele in questo breve tratto di vita (…)».
Elisa O.
Cara Elisa, ho scelto di pubblicare la tua bella e lunga lettera (che ho dovuto tagliare parecchio, per esigenze di brevità) perché è un inno alla vita. Non ha bisogno di risposte, perché racconta di come una piccola e brevissima esistenza, che forse agli occhi di alcuni potrà sembrare «inutile», in realtà abbia saputo gettare nel mondo, nel cuore tuo e degli altri volontari e di quanti sono venuti a conoscenza di questa vicenda, un seme d’amore.
Quante sono le vite brevi o in apparenza «inutili» che generano amore? E quante, invece, quelle magari lunghissime e fortunate che rischiano di inaridirsi perché incapaci di aprirsi agli altri?
Grazie davvero Elisa per la tua testimonianza. Perché con essa ci hai mostrato nei fatti che la vita è sempre un dono immenso e che l’amore donato non va mai perduto.