Morte e vita, l’inizio è alla fine
Novembre è il mese dei morti, e ci offre un’occasione per ripensare al senso della morte e al suo rapporto con la vita, liberandoci da alcuni luoghi comuni che ci impoveriscono. Intanto, la vita e la morte non sono per forza antagoniste, ma si mescolano nella nostra esperienza quotidiana, costellata di tante piccole e grandi «morti»: i fallimenti, le delusioni, le aspettative disattese, lo scontro con i nostri limiti, ma anche le malattie, gli abbandoni, la perdita di persone care, del lavoro, la vita che sembra spezzarsi...
Sono i momenti in cui siamo posti davanti all’alternativa: lasciarci schiacciare o trasformare la morte in occasione di rinascita. Ci sono persone che hanno iniziato a vivere pienamente a partire dal momento in cui la vita sembrava perduta!
È una morte almeno parziale anche quel «lasciar andare» senza il quale non generiamo mai pienamente: lasciar andare i figli per una strada diversa da quella che avevamo sperato per loro, per esempio. Correre il rischio della libertà dell’altro. Ci pesa, può essere doloroso, ma è necessario se non vogliamo soffocare, con la scusa della protezione, chi abbiamo generato.
L’idea stessa di rischio è un modo di articolare la vita e la morte. Per chi sogna il «rischio zero», la vita si riduce all’incolumità sotto il segno della sicurezza. Ma la vita è avventura, e il rischio va corso se si vuole vivere davvero.
Lo dice anche il Vangelo: chi vuol trattenere la vita la perde, chi è disposto a perderla la trova. È la salvezza: non solo sopravvivenza, ma pienezza e sovrabbondanza.