Seminare speranza
Ripartire dalla terra. Per far germogliare campi abbandonati, battuti solo da periodiche siccità e alluvioni altrettanto frequenti. Rinascere dai campi e dagli orti per guarire da ferite troppo fresche lasciate da trent’anni di guerra dalla quale non si è mai del tutto usciti. La speranza può fiorire anche da un terreno che, coltivato bene, riprende vita.
Accade a Mapinhane, villaggio a sud del distretto di Vilankulo, a circa 45 km dalla stessa sede cittadina di Vilankulo. Siamo in Mozambico. Il Paese, distrutto da un conflitto interno che ha seminato morte e distruzione – intere generazioni sono fuggite da città e villaggi–, fa i conti con una tregua precaria e con danni gravissimi a quelle che sono il cuore della comunità: le famiglie. Per questo a Mapinhane è stato realizzato, grazie ad Asem Mozambico e Caritas Antoniana, un progetto di produzione agricola rivolto in special modo ai nuclei familiari.
La superficie interessata è di circa otto ettari: tre dedicati alla produzione di frutta e cinque a quella di ortaggi. A rimboccarsi le maniche quindici capifamiglia. Il terreno è stato disboscato e lavorato. Sono stati tagliati alberi, portati via cespugli e sassi. Quindi, è stata eseguita la semina per arrivare sino alla raccolta dei primi frutti: pomodori, cavoli, lattuga, fagiolini, negli orti; banane, limoni, papaia, nei frutteti; distese di granoturco, nei campi.
«La popolazione locale vive soprattutto di agricoltura. Si producono, essenzialmente per l’autoconsumo, manioca, arachidi, ortaggi e fagioli – spiegano Barbara Hofmann ed Eusebio Jorge, responsabili per Asem Mozambico del progetto –. Il problema è che a Vilankulo non piove da due anni. Per il progetto, dunque, abbiamo individuato due terreni vicino al fiume Rio Govuro (che attraversa la zona) che funge da fonte di approvvigionamento per irrigare i campi di produzione agricola e zootecnica. I terreni qui sono argillosi, dunque favorevoli all’agricoltura».
Sono stati, inoltre, acquistati macchinari per la lavorazione e la preparazione del fondo. A eseguire gli interventi tutte persone del luogo, con regolare contratto di lavoro.
Il progetto ha coinvolto scuole secondarie, università nazionale di Agraria, due istituti di microfinanza già operanti nel territorio, alberghi e alloggi turistici. Beneficiari diretti: quindici capifamiglia che hanno acquisito le competenze tecniche necessarie; venti famiglie che hanno potuto avviare una piccola vendita di prodotti sui mercati; cinquecento bambini e adolescenti ospitati nei centri Asem, che hanno così migliorato la loro alimentazione.
L’associazione partner di Caritas Antoniana in questo progetto (Asem Mozambico) è nata nel 1991 proprio per aiutare i bambini di un Paese devastato da trent’anni di guerre, da annuali alluvioni e da periodiche siccità che hanno causato più danni degli stessi conflitti.
«Ci siamo concentrati sin da subito sulle necessità primarie dei piccoli – proseguono Barbara ed Eusebio –, fornendo loro cibo ma anche riabilitazione in campo psicologico, garantendo un’educazione e una formazione per il reinserimento in società. A oggi ne abbiamo aiutati più di 50 mila, accogliendoli nei nostri centri. Più di settecento si sono poi ricongiunti alle loro famiglie o sono rientrati nelle comunità di appartenenza. Il progetto realizzato con Caritas Antoniana è importante, perché fornisce ai ragazzi le conoscenze per coltivare la terra: ciò li renderà autonomi e farà ripartire l’economia rurale garantendo futuro».
Grazie a questa formazione agricola di base fornita da agronomi, ma anche da contadini più anziani, si prevede di ottenere annualmente un surplus agricolo del 25 per cento. Esso verrà parzialmente reinvestito per l’acquisto di nuove piante e la creazione di nuovi posti di lavoro.
Più complessa la formazione per la frutticoltura: richiede una fase teorica e una tecnica, oltre a un cambiamento culturale per far sì che la produzione venga incrementata e se ne possa vendere così al mercato una parte. Il tempo saprà dic erto far germogliare anche questi frutti.
Vengono in mente le parole di Jean Giono nel suo L’uomo che piantava gli alberi: «Quando penso che un uomo solo, ridotto alle proprie semplici risorse fisiche e morali, è bastato a far uscire dal deserto quel paese di Canaan, trovo che, malgrado tutto, la condizione umana sia ammirevole.
Ma, se metto in conto quanto c’è voluto in costanza nella grandezza d’animo e d’accanimento nella generosità per ottenere questo risultato, l’anima mi si riempie d’un enorme rispetto per quel vecchio contadino senza cultura che ha saputo portare a buon fine un’opera degna di Dio».