«Svapare» è più sicuro che fumare?
Continuano a uscire ricerche su ricerche, prendono posizione associazioni e società scientifiche, ma sulle sigarette elettronicheci sono ancora molti dubbi e poche certezze. Anzi, dal mondo della ricerca i segnali che arrivano sono contraddittori.
Ma, allora, le sigarette elettroniche fanno male, anche se probabilmente meno del fumo? Andrebbero vietate nei luoghi pubblici? Che effetto hanno sui più giovani? O sono invece un’innovazione meritoria, perché permettono di abbandonare il tabacco, prima causa evitabile di morte nel mondo?
Forse perché questo dato ormai inequivocabile rischiava di far crollare il loro impero, alcune grandi multinazionali del tabacco si sono buttate anni fa sul mercato delle sigarette elettroniche, presentandole come mezzi virtuosi per smettere di fumare.
Ora, un recente studio pubblicato sul «New England Journal of Medicine» sembra confermare questa idea: su quasi 900 fumatori molto motivati a smettere, la percentuale di persone che, grazie alle sigarette elettroniche, dopo un anno ci erano riuscite e non avevano ancora ripreso, per quanto bassa (18 per cento), era quasi il doppio rispetto a quella di coloro che erano stati aiutati a superare la dipendenza dalla nicotina con i tradizionali prodotti sostitutivi, dai cerotti alle gomme da masticare (9,9 per cento).
Restano però molti dubbi sulla sicurezza, soprattutto a lungo termine, delle sostanze contenute nei liquidi ai diversi aromi e con varie concentrazioni di nicotina usate per «svapare», come è stata ribattezzata questa attività.
Per questo l’American Cancer Society, in un documento approvato nel febbraio 2018, sconsigliava ai medici di caldeggiare questo approccio, se l’obiettivo era far smettere di fumare un paziente, pur ammettendo che, rispetto a quella tradizionale, la sigaretta elettronica può rappresentare un male minore, soprattutto se il suo uso è visto come un aiuto transitorio, in vista di un abbandono definitivo.
Un altro pericolo di questi dispositivi, così come di quelli più moderni che «riscaldano ma non bruciano» (IQOS), è di introdurre i più giovani a un’abitudine e a una dipendenza che qualche tempo fa sembrava stesse passando di moda. Anche il Forum of International Respiratory Societies si è sentito in dovere di prendere posizione.
«Oltre che alla dipendenza fisica, gli adolescenti sono suscettibili ai condizionamenti sociali e ambientali che li spingono a fumare sigarette elettroniche – fa sapere il Forum in una nota –. Design, aromi, strategie di marketing e percezione di sicurezza e accettabilità hanno indotto i giovani ad apprezzarle, portando a una nuova generazione dipendente dalla nicotina. Ci sono inoltre prove crescenti che le sigarette elettroniche rappresentano spesso per i ragazzi un primo passo verso il fumo di tabacco».
Ed è ovvio che in questi casi non c’è alcuna strategia di riduzione del danno che si può chiamare in causa, come si farebbe per far smettere un fumatore adulto. Solo l’inizio di un’abitudine da cui sarà difficile liberarsi.
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