Tatuaggi mania. E la salute?
Con il diffondersi di questa forma di «body art» a strati sempre più ampi della popolazione, emergono però sospetti sui suoi possibili rischi.
Si calcola che il 12 per cento dei cittadini europei e fino al 24 per cento di quelli statunitensi abbia almeno un tatuaggio, percentuali che raddoppiano tra i più giovani. Mentre un tempo la pratica era tipicamente maschile, oggi, soprattutto nelle fasce di età più basse, è altrettanto, se non più comune, tra le ragazze.
L’estensione del fenomeno ha quindi costretto le autorità sanitarie a interrogarsi sulla sua sicurezza, che non è soggetta agli stessi controlli previsti per farmaci o alimenti.
Già nel 2016 un rapporto del Direttorato generale sulla giustizia e i consumatori (JUST) alla Commissione europea sottolineava l’assenza di una legislazione comunitaria al riguardo – a parte una risoluzione non vincolante del 2008 sottoscritta solo da alcuni Stati membri –, e l’incoerenza per cui sostanze chimiche di cui è proibito il contatto con la pelle, per esempio nella normativa riguardante i cosmetici, possano invece essere contenute negli inchiostri per i tatuaggi, dove le stesse sostanze permangono a lungo.
Negli anni successivi si sono susseguiti, in Europa e negli Stati Uniti, i richiami alla prudenza da parte dei dermatologi e delle autorità sanitarie. Il primo rischio a cui si pensa di solito è quello infettivo, memori delle epatiti da virus B e C trasmesse dagli aghi, che erano purtroppo comuni in passato, ora molto meno grazie all’uso di strumenti chirurgici e sterili. Infezioni, soprattutto batteriche, si verificano però ancora, in concomitanza con l’1-5 per cento dei tatuaggi.
Non è solo questione di carenze igieniche o strutturali, che pure non mancano in alcuni centri: nonostante la buona volontà del tatuatore, sono i prodotti stessi, per quanto sigillati, che possono essere contaminati all’origine. Nei mesi scorsi la Food and Drug Administration americana ne ha ritirati alcuni, seguita dal ministero della Salute italiano, che già era intervenuto, tra il 2014 e il 2015, quando un centinaio di campioni sui 318 prelevati nel nostro Paese erano risultati contaminati da microbi e funghi. È importante quindi accertarsi, per quanto possibile, della qualità degli inchiostri, che devono essere contenuti in capsule monouso, affidandosi a centri autorizzati.
Esiste poi la possibilità di reazioni allergiche, più comuni con alcune sostanze, note allergizzanti, come nichel, cobalto e cromo, tipiche degli inchiostri colorati. Bisogna quindi verificare di non essere allergici alle sostanze iniettate prima di farsi tatuare, consapevoli che comunque la conseguenza più comune, e imprevedibile, è un’infiammazione cronica con formazione di noduli antiestetici e fastidiosi.
Un altro timore è infine quello relativo ai possibili effetti a lungo termine di metalli pesanti e sostanze cancerogene, come ammine aromatiche e idrocarburi policiclici aromatici contenuti negli inchiostri. Recentemente, una serie di controlli effettuati dai NAS su 117 attività del settore (centri di tatuaggio, importatori, produttori e distributori nazionali di pigmenti) ha riscontrato in 22 dei 100 campioni prelevati livelli di sostanze pericolose superiori al consentito.
Attenzione: per il momento non esistono dati a conferma dell’idea che i tatuaggi possano aumentare il rischio di cancro. C’è da chiedersi, però, come mai il principio di precauzione invocato dal legislatore in altri campi sia sottovalutato in questo, ma soprattutto quanto forti debbano essere i condizionamenti culturali capaci di neutralizzare nelle persone la percezione del rischio legata all’idea di farsi iniettare sotto pelle sostanze tossiche e cancerogene a solo scopo estetico.