Te recuerdo Amanda
Non posso chiedere a chi oggi ha vent’anni di ricordare questa canzone. «Te recuerdo Amanda/la calle mojada/corriendo a la fábrica…».
Ancora una volta è l’11 settembre. L’orrore delle Torri Gemelle, quei corpi che precipitano dai grattacieli, il mondo si ruppe allora, un’altra volta ancora la vita si fermò. Quel giorno morirono 2999 persone (il numero mi stordisce nella sua precisione), ventiquattro figurano nell’elenco dei dispersi. Erano di oltre novanta paesi. Le tragedie ci mostrano sempre che uomini e donne della Terra sono un universo.
Maledetto 11 settembre. Avevo venti anni nel 1973. Quella sera ci ritrovammo in una piazza di Firenze. In mille altre piazze. C’erano le bandiere e il pianto. Ci tenevamo per mano. Ci toccavamo l’un con l’altro. All’altro capo del mondo, un uomo era stato ucciso da generali golpisti. Un popolo venne imprigionato, torturato, fatto a pezzi. Fra di loro Victor Jara, il cantante di Te recuerdo Amanda. Gli tagliarono le mani, non sopportavano la sua musica.
Era il Cile di Salvador Allende. Perché una immensa folla di ragazzi si era innamorata di «un uomo mite», che portava occhiali dalla montatura grossa e appariva come un medico di campagna? Non eravamo cresciuti nella leggenda di Ernesto Guevara? E allora c’era ancora la guerra del Vietnam. I ragazzi di oggi sanno chi è stato Salvador Allende? E perché noi, fra tanti drammi di quegli anni, credevamo in un uomo, in un Paese così lontano? Non c’era internet, allora, eppure sapevamo…
Molti anni dopo, Antonio Skármeta, lo scrittore cileno de Il postino di Neruda mi spiegò: «Allende non era un guerrigliero, non era un profeta, non era un poeta: era un cittadino comune». Un uomo tranquillo era riuscito a conquistarci. Avevamo fiducia in lui. Il suo Cile era una speranza possibile, poteva essere un futuro. Ancora oggi, il volto di quest’uomo mi emoziona.
11 settembre. Intravedo il filo che collega il palazzo presidenziale della Moneda, nel Barrio Civico di Santiago del Cile, alle Torri Gemelle di New York. C’è sempre un bisogno di sfiorarsi, abbracciarsi, toccarci quando le tempeste ci piovono addosso. Ci rialziamo storditi, ma riprendiamo a camminare.
Accanto alla Moneda, brutto palazzo schiacciato dai grattacieli della capitale cilena, c’è la statua di Salvador Allende. Le sue ultime parole: «Ho la certezza che il mio sacrificio non sarà vano» e che «la ragione» e la giustizia siano più resistenti della «forza». Memoria, sogni, futuro.
Provate ad ascoltare Te recuerdo Amanda. Oggi c’è you tube