Tra cinema e fede. Garrone e Spadaro in dialogo

Il pluripremiato regista e il gesuita sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, a confronto sul film «Io capitano».
29 Maggio 2024 | di

Il 16 maggio scorso, al teatro Toniolo di Mestre (Ve), nell’ambito de «Le Giornate delle Idee» (anteprima del «Festival delle Idee» che, giunto alla VI edizione, si aprirà ufficialmente il 23 ottobre prossimo e affronterà quest’anno il tema «Esplorando l’ignoto»,) un numerossimo pubblico ha potuto assistere al dialogo tra il regista Matteo Garrone e padre Antonio Spadaro, giornalista, saggista e sottosegretario del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione.

«Noi, il cinema e la fede: esplorando l’ignoto», è stato il tema dell’incontro che ha visto Garrone e Spadaro indagare il concetto di ignoto partendo da due prospettive in apparenza lontane ma che, come hanno spiegato gli organizzatori dell’evento «a ben vedere, si confrontano entrambe con la necessità di dare forma e sostanza a ciò che non conosciamo ma ci appartiene, aiutandoci a vedere quanto di noi stessi si cela nel profondo, per cercare di comprendere e decifrare il nostro presente».

Al centro del dialogo il recente lavoro di Garrone Io capitano (racconto di un viaggio epico e drammatico insieme, del giovanissimo Seydou – l’attore Seydou Sarr – e di suo cugino Moussa – Moustapha Fall, dal Senegal all’ Italia), che ha ricevuto il Leone d’Argento alla 80esima Mostra del Cinema di Venezia, è stato candidato agli Oscar come miglior film straniero, e premiato ai David di Donatello tra l'altro come miglior film e miglior regia.

Il dialogo, durato circa un’ora e mezza, si è sviluppato a partire da un'iniziale confidenza di padre Spadaro, il quale ha confessato come in origine non desiderasse vedere il film, temendo si trattasse dell'ennesima sorta di documentario sui migranti che avrebbe avuto come effetto quello di alzare il livello di sopportazione del pubblico dinanzi all’orrore, alle morti in mare, alle torture. «Un’operazione – ha confermato il religioso – che ovviamente non mi trova d’accordo. Invece poi ci sono andato a vederlo, invitato da amici e, al termine del film, ero in lacrime: il film di Garrone aveva saputo farmi vedere la tragedia della migrazione ma coinvolgendomi. È come se la pellicola avesse interpretato me e le mie emozioni, come in fondo accade sempre dinanzi a una grande opera d’arte».

Garrone da parte sua ha raccontato come quella visione casuale di padre Spadaro gli abbia poi aperto strade inattese, come l’incontro con papa Francesco: «Padre Antonio mi ha messo in contatto con il Pontefice, il quale ha creduto subito nel film, perché credo vi abbia riconosciuto un viaggio guardato dal punto di vista di chi non ha voce. Dopo l’incontro con il Papa il film ha viaggiato per il mondo: non solo siamo andati agli Oscar, ma, in seguito, lo abbiamo anche portato in Africa, in Senegal, per proiettarlo nelle piazze come si faceva decenni fa da noi. Ed è stato bellissimo assistere al genuino stupore sulla faccia degli spettatori, come se si trovassero dinanzi a qualcosa di magico. Il film ha anche aiutato molti ragazzi africani a capire i pericoli ai quali vanno incontro partendo, perché, spesso, a rendere ancora più drammatici questi viaggi della speranza è l’illusione».

«I giovani – ha proseguito il regista – partono non solo perché scappano da guerra o carestie, ma perché inseguono il sogno di una vita migliore. Come tutti i giovani. Solo che i giovani migranti, per farlo, entrano in un meccanismo di morte. Ma non possiamo dimenticare che lottano per un diritto che dovrebbe essere di tutti: quello di poter viaggiare e seguire un sogno».

Ed è esattamente questa la novità sostanziale che ha reso questo film un capolavoro capace di ribaltare le prospettive, un’opera in un certo senso rivoluzionaria, gli ha fatto eco padre Spadaro: «Garrone nel suo film ha parlato di sogni dei migranti, mentre noi siamo abituati a parlare, riferendoci a loro, di bisogni. Lui ha proiettato sogni e desideri di ciascuno di noi su uno schermo. Perché questo film in fondo è un’opera cinematografica sul desiderio di essere felici e di vivere davvero la propria vita».

Vedendo il film, ha confidato inoltre il gesuita, «ho sentito ancor di più la verità delle parole che il Papa ha rivolto agli artisti nel corso dell’incontro del 23 giugno 2023, quando ha chiesto loro di donarci l'alfabeto e le immagini per un mondo diverso. È un aspetto molto importante e attuale, perché oggi noi stiamo perdendo la capacità di immaginare, schiacciati come siamo sulla realtà».

Garrone ha quindi spiegato la genesi del film, la cui idea è nata tanti anni fa dal racconto di un migrante dal lui ascoltato in un centro di accoglienza in Sicilia: «Non ho pensato subito di fare un film, perché avevo paura di speculare sulla sofferenza di tante persone. Ma quando, dopo anni, quel mondo è venuto di nuovo a bussare alla porta della mia vita, allora ho sentito che non potevo più tirarmi indietro. Così è nato Io capitano, che in realtà è un collage di tre storie che io ho messo insieme. E ho voluto che a recitare non ci fossero attori professionisti, ma veri migranti che sullo schermo raccontassero che cosa avevano visto e vissuto. Per questo io dico sempre che il film è stato riscritto sul set, insieme agli attori, anche modificando in corso d’opera le scene in base ai loro suggerimenti. Sono stati in un certo senso co-registi del film. Io spesso mi sono ritrovato a fare da spettatore».

Padre Antonio Spadaro ha nel finale posto in evidenza lo sguardo «religioso» del film di Garrone, un film che mostra una profonda capacità di credere nel futuro, nella possibilità del domani, riprendendo in tal modo la prospettiva cristiana che per prima ha saputo fare della speranza uno sguardo sul futuro, visto che la classicità non lo possedeva. Ed è un film che parla di solidarietà, perché contraddice il modello oggi in voga del self-made man. Uno degli aspetti più forti di questo film, ha insistito padre Spadaro «sta infatti nel mostrare quei legami di solidarietà e di responsabilità che rendono il protagonista, Seydou, capitano della propria vita e in un certo senso anche di quella degli altri, perché gli altri lui se li portava addosso». Un modo per ricordare che nella vita nessuno si salva da solo. «Oggi – ha concluso il religioso – crediamo molto alle idee e ai concetti ma non crediamo più alle storie. Questo, così come altri film di Garrone, invece, ci aiutano a credere di nuovo nelle storie». A credere nell'umano.

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Data di aggiornamento: 29 Maggio 2024
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