Parole in libertà
Da 17 anni i ristretti e le ristrette nelle carceri italiane hanno la possibilità di far uscire dalle loro celle parole vive e libere. Parole che possono giungere a quelli che «stanno fuori», quelli che come si (soprav)vive in carcere non lo sanno e, spesso, nemmeno interessa loro saperlo. A portare «fuori» le parole di chi «sta dentro» è il Premio Carlo Castelli, ideato e promosso dell’associazione San Vincenzo De Paoli. Ne abbiamo parlato con Paola Da Ros, dal marzo 2022 presidente della Federazione nazionale italiana Società di San Vincenzo De Paoli.
Msa. Presidente, come nasce il premio Castelli?
Da Ros. Il Premio Carlo Castelli è un concorso letterario organizzato e promosso dalla Federazione nazionale italiana Società di San Vincenzo De Paoli odv, al quale ogni anno partecipano detenuti di tutti gli Istituti penitenziari e Istituti per minori italiani. Si tratta di un Premio molto prestigioso: le passate edizioni hanno ottenuto il riconoscimento della Medaglia del presidente della Repubblica e il patrocinio di Camera, Senato e Ministero della giustizia. Ha una particolarità: un doppio premio in denaro. Alla somma riconosciuta ai primi tre classificati viene infatti abbinato un secondo importo che verrà destinato a finanziare un progetto di reinserimento per un detenuto di un carcere, di un Istituto minorile e dell’Ufficio di esecuzione penale esterna. Questa, ancora oggi, è l’idea alla base del Premio Carlo Castelli: offrire un’opportunità di riscatto morale al ristretto che, attraverso il concorso, si rende poi protagonista di un gesto di generosità verso un altro detenuto. Un importante tassello nel percorso di riconquista della propria dignità e un passo avanti verso il reinserimento nella società civile a fine pena. Il Premio letterario è dedicato a Carlo Castelli, volontario penitenziario della Società di San Vincenzo De Paoli che per molti anni ha visitato i detenuti nelle carceri di Torino e Saluzzo; è stato anche uno dei promotori della Legge Gozzini che, nel 1986, per la prima volta permise l’accesso ai volontari in carcere per prendere parte al trattamento rieducativo del ristretto.
Qual è il tema della XVII edizione del Premio?
Il tema di quest’anno è: «Perché? – Ti scrivo perché ho scoperto che c’è ancora un domani». «Perché?» è una domanda forte, che sottende molti significati. L’abbiamo pensata per permettere agli autori e autrici di interrogarsi nel profondo e per accompagnarli nel percorso che parte dalla rielaborazione del proprio passato per giungere a una presa di coscienza e, in qualche maniera, di distanza dal reato commesso. Abbiamo pensato di abbinare all’interrogativo un percorso di speranza, perché ci siamo resi conto che troppo spesso il ristretto perde di vista proprio la speranza di un futuro migliore. Una depressione che arriva non solo all’inizio della pena, pensando al lungo periodo di detenzione, ma che può cogliere chi è detenuto addirittura quando si avvicina la prospettiva della scarcerazione e subentra il timore di affrontare il mondo esterno. La piaga dei suicidi in carcere è uno specchio di questo disagio.
In quale carcere si terrà la premiazione 2024?
Si terrà nella casa di reclusione di Verona Montorio, venerdì 4 ottobre 2024. All’evento parteciperanno, oltre a detenuti e Istituzioni, una delegazione di volontari vincenziani provenienti da tutta Italia. Il giorno successivo, sabato 5 ottobre, abbiamo organizzato un secondo incontro in un teatro all’esterno del carcere, per facilitare la partecipazione del pubblico. In questo modo desideriamo aprire metaforicamente al mondo esterno le porte del carcere. Un ambiente sconosciuto ai più, che alle mura di cemento affiancano una cinta fatta di timore e pregiudizio. È questo il muro peggiore che cerchiamo di abbattere per facilitare il dialogo e il reinserimento sociale del detenuto che ha scontato la pena.
La partecipazione al Premio è molto alta…
Nel 2023 sono giunti 220 componimenti. Un numero maggiore rispetto agli anni precedenti. Per l’edizione in corso ci aspettiamo un ulteriore aumento, perché non solo abbiamo inviato il bando a tutte le strutture che si trovano sul territorio italiano, ma stiamo conducendo un’azione di sensibilizzazione contattando tutti gli educatori e i cappellani, chiedendo loro di coinvolgere il maggior numero possibile di ristretti. All’edizione del 2023 hanno partecipato in presenza tutti e tre i primi classificati, due dei quali hanno letto i loro componimenti riuscendo a trasmettere emozioni che si perdono quando il testo viene interpretato da un’altra persona. Non è facile ottenere questo risultato, perché gli autori provengono da carceri anche molto distanti e non sempre è possibile avere l’autorizzazione al trasferimento.
Come vivono le persone ristrette la partecipazione al Premio?
Il concorso è particolarmente sentito non solo dai ristretti che vi partecipano attivamente, ma anche da quelli che assistono alla cerimonia di premiazione e ascoltano la lettura dei testi. Per il detenuto è un’occasione di far uscire la propria voce dalle mura del carcere, un modo per sentirsi, anche solo per poche ore, protagonista di un incontro con la società civile. Questo li motiva e rafforza la loro volontà di proseguire un percorso di riabilitazione.
Quali altre iniziative la San Vincenzo riserva al mondo carcerario?
La Società di San Vincenzo De Paoli, attraverso il settore «Carcere e Devianza» è vicina a tutte le persone che vivono in difficoltà e anche ai detenuti e alle loro famiglie. In tutta Italia abbiamo numerosi volontari che ogni giorno entrano in carcere per portare conforto e aiuti materiali ai ristretti, conducono colloqui, sbrigano piccole pratiche. Membri dell’associazione sostengono anche le famiglie dei ristretti che spesso si trovano in difficoltà economica. I detenuti vengono trasferiti in strutture anche molto distanti dal luogo di residenza dei loro congiunti, così ci preoccupiamo che il costo del viaggio non costituisca un ostacolo alle visite. Il settore «Carcere e Devianza» organizza poi corsi di formazione e aggiornamento per volontari penitenziari e giornate di approfondimento sul tema della giustizia, con esperti, magistrati e Istituzioni. È notizia dell’ultima ora che il protocollo d’intesa tra Federazione nazionale Società di San Vincenzo De Paoli e Ministero della giustizia è alla firma del guardasigilli Carlo Nordio per facilitare, attraverso l’Uepe (Ufficio per l’esecuzione penale esterna) e il Dipartimento di giustizia minorile e di comunità, l’applicazione di misure alternative alla detenzione e messa alla prova. L’esecuzione penale esterna non è solo un modo per ridurre il sovraffollamento nelle carceri, ma è anche l’opportunità di seguire un percorso inclusivo, molto meno traumatico della detenzione per i condannati alle pene più brevi, favorendo il recupero anche attraverso lavori di pubblica utilità.
«Come sta» l’associazione che lei guida da due anni?
L’uscita dalla pandemia, le guerre, eventi metereologici di eccezionale intensità, la comparsa di nuove forme di povertà e la trasformazione del Terzo settore, sono elementi che ci hanno imposto di camminare a passo veloce. Ma devo dire che la risposta da parte dei Consigli centrali e delle Conferenze che compongono la nostra associazione è stata pronta ed efficace. Abbiamo lavorato molto, ma abbiamo riorganizzato importanti aree della nostra associazione, conseguendo risultati anche molto positivi. Stiamo adeguando la San Vincenzo De Paoli alle esigenze di un mondo che cambia, ma lo stiamo facendo sempre senza perdere di vista il carisma dei nostri fondatori.
San Vincenzo è da sempre sinonimo di vicinanza agli utlimi. È, il vostro, un carisma che riesce a coinvolgere i giovani?
La Società di San Vincenzo De Paoli è nata nel 1833 a Parigi da un gruppo di giovani universitari guidati dal beato Federico Ozanam, che fondò l’associazione proprio nel giorno del suo ventesimo compleanno. Fin dai primissimi anni ha avuto una rapida espansione tant’è che oggi è diffusa in 155 Paesi. In molte aree del mondo i giovani continuano a essere i principali protagonisti della Società di San Vincenzo. L’Europa purtroppo sta attraversando la peggiore crisi demografica che abbia mai affrontato e, un po’ per questo, un po’ per la precarietà del lavoro, nel nostro continente non è sempre facile intercettare giovani volontari. Ma l’esperienza mi dice che i giovani desiderano dedicarsi al volontariato, sono sempre pronti e reattivi nel rispondere alle nostre chiamate in caso di emergenza sui singoli progetti. Il che mi fa concludere che una figura come quella del beato Federico Ozanam e il suo carisma siano ancora attrattivi. Dobbiamo però imparare a proporre iniziative definite con obiettivi, inizio e termine chiari, per permettere ai giovani di avvicinarsi al volontariato secondo le loro disponibilità. Anche questo fa parte della riorganizzazione che stiamo attuando per essere sempre pronti alle sfide del domani.
Scene di una prigionia
Interno-Esterno – giorno. In carcere riemergono immagini, odori, suoni, ricordi di situazioni, persone ed emozioni, e lo fanno in modo inaspettato, nei momenti più inattesi. Forse per gli spazi ristretti, per lo sguardo limitato dalla cella umida e squallida, sempre chiusa, per la violenza sonora delle altre detenute o delle chiavi delle secondine che con il loro tintinnio si infiltrano nel cervello per non uscirne più [...]. Forse per il freddo che ti costringe a stare sotto le coperte per non ammalarti di qualcosa, per il sentirsi private di tutto, persino del tuo nome perché qui vieni sempre chiamata per cognome. Dove per avere una maglietta o un paio di calzini, se non hai qualcuno che te li porti da fuori, devi fare domandina scritta e aspettare senza sapere se mai li avrai. […] Dove adatti gli elastici delle mascherine sanitarie a fermacapelli, chiusura per pacchi, bracciale, collane, ferma stecca per occhiali rotti e Dio solo sa cos’altro, perché non c’è altro. […].
Interno- Esterno – notte. La notte in carcere è l’unico momento in cui il frastuono incessante tra una cella e l’altra che prende forma di urla, risate, musiche a volumi impossibili, pulizie, rituali di cucina, giochi a nomi, cose, città, si tace. [...] Anche se, generalmente, il grosso dell’agitazione tende a diminuire non appena gli psicofarmaci, distribuiti a piene mani dal carrello dell’infermeria verso le 20:30, iniziano a sortire il loro effetto e a indurre al sonno le più scalmanate e le più fragili che se ne nutrono avidamente pur di non sentire il dolore del luogo in cui si trovano. […] Sono entrata in estate, tempo di finestra sempre aperta, e fuori dalla mia cella sono cresciuti senza chiedere il permesso due alberi del paradiso. […] La pochezza della vita condotta qui rende più egoisti e attaccati alle piccole cose che si posseggono e agevola il cammino di povertà spirituale iniziato in precedenza […]. Mi chiedo se, a lungo andare, questa ristrettezza di spirito si impossesserà anche di me […]. Chissà se anche il mio cuore si indurirà e diventerà piccolo perché non ospiterà il dolore.
Lucia Letizia Finetti, II classificata, Premio Carlo Castelli 2023
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