«Verrò tra voi»
«Verrò tra voi». Sono queste le parole che accompagnano i viaggi apostolici di papa Francesco dall’inizio del pontificato. Sospesi e non cancellati, tra 2020 e 2021, a causa della pandemia, rimangono ben segnati nella sua agenda. A partire dall’Iraq che il Papa, con un annuncio a sorpresa, visiterà dal 5 all’8 marzo prossimi. A conferma che quel «Verrò tra voi» è custodito stretto, ancor più in questo tempo di incertezza, nelle preghiere e nel cuore del Pontefice. Per richiamare, attraverso il Vangelo dell’incontro, l’attenzione del mondo su un’umanità lacerata, ferita, a pezzi.
Dal centro alle periferie (di Andrea Tornielli, Direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede)
L’annuncio inatteso del viaggio di papa Francesco in Iraq, dal 5 all’8 marzo 2021, è arrivato dopo quindici mesi di stop causato dalla pandemia e tante trasferte importanti cancellate.
Quello nella terra da cui partì il patriarca Abramo, al momento, è l’unico pellegrinaggio programmato per il nuovo anno e non si preannuncia certamente facile, sia a motivo della diffusione del coronavirus – e dunque dei rischi per gli assembramenti – sia per l’instabilità che ancora caratterizza il Paese.
Francesco da tempo desiderava recarsi in Iraq per confortare la popolazione duramente provata dalla guerra e dall’Isis, per mostrare vicinanza ai cristiani ancora rimasti e per lanciare anche da lì un messaggio di speranza e di dialogo con le altre religioni. Con il suo gesto si compie un sogno che fu già di Karol Wojtyla, al quale fu impedito di recarsi a Ur dei Caldei nel dicembre 1999.
I viaggi del Pontefice attorno al mondo sono iniziati con Paolo VI e sono diventati una consuetudine con Giovanni Paolo II. Sia Benedetto XVI che Francesco, eletti al soglio già in età avanzata e poco amanti dei viaggi, hanno toccato con mano il valore di questi pellegrinaggi seguendo le orme dei predecessori.
Papa Bergoglio sembra essersi lasciato ispirare da una filosofa argentina, Amelia Podetti, conosciuta quando era provinciale dei gesuiti, la quale osservava che l’Europa aveva visto se stessa in modo diverso dopo il viaggio compiuto da Magellano.
Guardare il mondo da Madrid, infatti, non era come guardarlo dalla Terra del Fuoco: la visuale era più ampia e si potevano vedere cose destinate a rimanere nascoste a chi guardava tutto dal «centro» dell’impero.
«La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro» ha spiegato Francesco in un dialogo pubblicato sul bollettino parrocchiale di Villa la Càrcova, baraccopoli alla periferia di Buenos Aires: «Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso, scopriamo più cose».
Non è dunque adeguato cercare di rintracciare opzioni geopolitiche alla base delle scelte dei viaggi del Pontefice argentino, e in quelle da lui sognate per il futuro. C’è una chiave di lettura più semplice. Il Papa sottolinea in modo particolare la predilezione per le aree marginali e per le situazioni limite, per i Paesi più piccoli e in difficoltà, nei quali con la sua presenza può incoraggiare processi di dialogo, di pace, di riconciliazione, di apertura di nuove vie.
Terra di fede e di martirio. L'Iraq visto da Domenico Quirico, inviato di guerra, rapito in Siria dai ribelli nel 2013
«Nella culla della comunità cristiana più antica della storia, i cristiani non esistono quasi più. L’Iraq è il Paese dei martiri del XXI secolo. Chissà se mai riusciranno a ricostituirsi, ci sono dei tentativi, ma la situazione geopolitica è estremamente fragile; il rischio di guerre sotterranee.
L’Iraq non è affatto uscito dall’emergenza. C’è la necessità di recarsi in Iraq per rimettere in piedi la presenza cristiana. Ero lì, nel 2014, quando il califfato cominciò a cacciar via i cristiani azidi dalla piana di Mosul verso le montagne.
L’allora nunzio apostolico mi disse: “Il Papa dovrebbe venire qui, subito!”. Perché? “Questo è il luogo del martirio cristiano”. Non se ne fece nulla, troppi problemi di sicurezza. Se Francesco andrà in Iraq sarà proprio per testimoniare che, pur spazzato via dalla violenza, quello è ancora un luogo cristiano.
Una terra in cui c’è bisogno di una Chiesa che non solo sussurri parole, pur importanti, di dialogo, ma che si faccia vedere. Una Chiesa militante che si manifesti in corpore vivo. Altrimenti, per la gente di quei luoghi, non esisti».
Il dialogo ostinato. Montenegro, Cipro, Grecia visti da Patrizio Nissirio, direttore di Ansamed
«Il Mediterraneo orientale è oggi luogo di grande instabilità soprattutto per le mire espansionistiche della Turchia.
Un aspetto è pregnante nell’azione del Pontefice: nei Balcani si intersecano varie declinazioni del cristianesimo (in Grecia e a Cipro, ad esempio, esiste una comunità cattolica molto attiva, ma piccola), eppure nessuno di questi tre Paesi è a maggioranza cattolica, a prevalere è l’ortodossia.
Per Francesco, però, questo non è un ostacolo. Colpisce proprio tale aspetto: l’attenzione a terre, storie, periferie che non riguardano, per forza o solo, i cattolici. La mia è una riflessione del tutto laica. Inoltre, da osservatore dei comportamenti di altre Chiese e confessioni religiose, posso dire che nessuna di loro ha quello sguardo ecumenico che appartiene, invece, alla Chiesa di Roma e a papa Francesco».
Ricercare ciò che unisce. Il Sud Sudan visto da Daniele Bellocchio, reporter di guerra
«Appena possibile, il Papa andrà in Sud Sudan. La gente lo sta attendendo. Oggi, nel Paese, c’è un forte impegno nel traghettare le parti in causa verso una definitiva tregua e un accordo di pace.
Tra quanti stanno lavorando per questa riconciliazione tra governo e movimenti di opposizione, riuniti sotto la sigla SSOA (South Sudan Opposition Alliance), c’è la comunità di sant’Egidio.
Avere un quadro completo di quanto sta accadendo rimane difficile. Il Sud Sudan rimane uno dei Paesi più inaccessibili per i giornalisti internazionali.
La guerra civile, in atto dal 2013, è una di quelle guerre africane “senza immagini”, vale a dire che è stato impossibile documentare quanto accaduto in questi anni, proprio a causa delle difficoltà, dei rischi, dell’impenetrabilità del territorio.
Le trattative, comunque, procedono. Attualmente su tanti punti si è arrivati a una convergenza, come sulla cessazione delle ostilità: Due le questioni aperte: il riconoscimento da parte della maggioranza di governo dell’“etnicità” e l’approvazione della nuova Costituzione, nodo cruciale delle divisioni».
Lì dove tutto ebbe origine. L'Argentina, vista da Federico Larsen, Istituto Relazioni Internazionali Università Nazionale di La Plata
«Nell’agenda del Papa è un punto fermo, il respiro di un viaggio del cuore. Oggi l’Argentina di Francesco – secondo Paese più esteso del Sudamerica e una popolazione urbana tra le più dense al mondo – è afflitta da emergenze croniche, tra tutte la povertà.
Da sempre, ancor più negli ultimi quindici anni, la Chiesa cattolica argentina ha assunto un ruolo fondamentale nel porsi come istituzione super partes. Una Chiesa che, senza clamore, in questo tempo difficile non esita a stare con chi soffre.
Penso ai curas villeros, parroci che lavorano nelle comunità, nei quartieri più poveri ed emarginati e che, proprio da Francesco, hanno ricevuto una spinta, anche se solo morale, molto forte nel proseguire la loro opera.
Questo camminare della Chiesa con gli ultimi è una speranza molto bella. Carica di futuro per una società profondamente cattolica come quella argentina. Lì dove la storia di Francesco è iniziata».
Puoi leggere il dossier completo, con gli interventi integrali di Quirico, Nissirio, Bellocchio e Larsen e gli approfondimenti sugli altri Paesi che rimangono nell'agenda papale, nel numero di gennaio 2021 del «Messaggero di sant'Antonio» e nella versione digitale della rivista. Provala ora!