Francesco, profeta della speranza
Su papa Francesco la cinematografia si è già recentemente espressa con Daniele Luchetti nel 2015 (Chiamatemi Francesco - Il Papa della gente) e con Wim Wenders nel 2018 (Papa Francesco - un uomo di parola). L’ultima novità, che fa di Francesco quasi una «star» da grande schermo, è il documentario Francesco (Stati Uniti, Repubblica Ceca, 2020, 118 min.) presentato in anteprima mondiale all’ultima Festa del Cinema di Roma. Questa volta non è un film sul Papa ma su di noi, su quello che sta succedendo all’epoca della pandemia e sui significati, presenti e futuri, dell’emergenza sanitaria.
Francesco è il terzo documentario del regista candidato all’Oscar Evgeny Afineevsky, e l’ultimo capitolo della sua trilogia. Il regista russo, nato in Israele, e che vive da diciotto anni negli Stati Uniti, è stato candidato all’Oscar e agli Emmy Awards. Il suo documentario Cries from Syria gli è valso il premio come miglior regista ai Critics’ Choice Documentary Awards ed è stato nominato per quattro Emmy Awards. Afineevsky ha ottenuto nomination all’Oscar e agli Emmy per il suo film Winter On Fire: Ukraine’s Fight for Freedom; ha vinto il People’s Choice Award per il miglior documentario al Toronto International Film Festival, e ha ricevuto il Television Academy’s Honors Award.
Il progetto Francesco ha preso vita negli ultimi tre anni. Il film pone attenzione su molti temi cruciali dei nostri giorni, sui drammi che hanno caratterizzato la storia recente e che, alla luce della pandemia di Coronavirus, vengono riletti. «Nel film – spiega il regista – emerge come la pandemia ci ricordi che non ci sono differenze o confini tra coloro che soffrono». Quello che sorprende nel documentario è l’apertura del Papa e il suo essere fonte di ispirazione, un fascinoso esempio di moralità a garanzia del senso profondo dell’umanità.
Francesco guarda, senza risparmiarsi, alle sfide più pressanti del XXI secolo, ponendo domande profonde sulla condizione umana. Il film è guidato dal Pontefice stesso che, con grande umiltà, saggezza e generosità, offre lezioni commoventi dalla sua vita che illuminano ciò che servirà per costruire un futuro migliore. In quest’ottica, la pellicola affronta questioni cruciali come il cambiamento climatico (il tifone Haiyan nelle Filippine del 2013), la questione ecologica, l’immigrazione (dalla Siria e dall’Africa) e i morti in mare (con scene da Lampedusa), la pace e la tolleranza religiosa (il conflitto israelo-palestinese e quello in Myanmar), il sostegno e la giustizia alla diversità di genere, l’identità e l’uguaglianza economica, la condanna degli abusi sessuali da parte di alcuni rappresentanti della Chiesa.
«In questa visione – aggiunge Afineevsky – il Covid lascia scoperte le nostre fragilità. Impariamo dalle parole coraggiose del Papa che stiamo attraversando il periodo della globalizzazione dell’indifferenza, non più attenti al mondo in cui viviamo ma ai nostri egoismi». Il nostro Papa è testimone di una fede semplice, concreta e trasparente: «Nessuno – sostiene il Santo Padre nel film – può essere escluso dalla misericordia di Dio. La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, quella che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, essa ha colpito il popolo armeno, prima nazione cristiana. Le altre due furono quelle perpetrate dal nazismo e dallo stalinismo. E, più recentemente, altri stermini di massa, come quelli in Cambogia, Ruanda, Burkina Faso e Bosnia».
È alto, nelle parole del Pontefice tratte dal film dopo la visita ad Auschwitz, il senso educativo della storia: «Le sofferenze ci appartengono e ricordarle è doveroso perché il mondo non ricada mai più nella spirale di simili orrori». Il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro, per poter intervenire tempestivamente a difesa degli esseri umani e della pace. Ammonisce il Papa: «Abbiamo mancato nel custodire la terra, la nostra casa giardino, l’abbiamo inquinata, l’abbiamo depredata mettendo in pericolo la nostra stessa vita».
Chiediamo al regista: cosa ci mostrano le limpide immagini del suo film che fanno il giro del mondo, seguendo i viaggi apostolici di Bergoglio e accendendo riflettori su aree e località interessate da problemi e conflitti? «Il film – risponde Afineevsky – ci mostra il mondo così com’è oggi ed è un percorso per aprire la strada verso un futuro migliore per il domani, attraverso la straordinaria opera di papa Francesco. È una ricerca di speranza, umanità, compassione, unità e redenzione nell’oscurità dei nostri tempi».
Quella di cui parla Francesco «non è solo una crisi economica e finanziaria, ma è anche ecologica, educativa, morale, umana – ribadisce il regista –. Questo film ci insegna cos’è l’amore. È interessante perché per me, che non sono religioso, è utile capire come una grande figura religiosa veda le cose con un approccio differente. L’amore sta prima di ogni azione e sta nelle azioni di ogni giorno. Questo è il Santo Padre, e le sue azioni dicono molto della sua vita, ma non ci è consentito vederle in tutte le parti del mondo perché i media sono presi da molte altre problematiche. Non c’è posto nei media per parlare di umanità, non c’è spazio per parlare dell’amore».
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