Viaggio mediterraneo. Il mare di Tripoli
I ragazzi di Tripoli dovevano attraversare un invalicabile stradone costiero per raggiungere il mare e sedersi di fronte ai piccoli scogli delle «isole dei francesi». Cercavano qualche intimità di fronte al mare.
Le balaustre dell’antico lungomare, costruito dagli italiani negli anni della colonia, erano arretrate di oltre cento metri dalle sponde del Mediterraneo: erano diventate quasi linee spartitraffico in una città avvolta dalle auto.
Mu’ammar Gheddafi, nelle sue follie, aveva cambiato perfino la geografia della città: aveva allontanato il mare dagli spalti del castello di Assary el-Hamra, il Castello Rosso. E i ragazzi, allora, si spingevano fino a dove le onde si frangevano sulle pietre frangiflutti.
Quanto tempo! Luciano Bianciardi, grande scrittore, vi arrivò di notte nel 1968: «Nel buio si capiva poco che cosa fosse Tripoli: una fila di casette intervallate da qualche stenta pianta».
Io, venti e più anni fa, ebbi una guida di eccezione, il vescovo Giovanni Martinelli, frate francescano. Al tramonto, mi accompagnò sulle banchine di cemento oltre quello stradone: mi mostrò il profilo marino della città, l’arco romano di Marco Aurelio, il minareto svettante della moschea di Dorghut, l’edificio moresco della vecchia Cassa di Risparmio della Tripolitania.
A sera, la banchina era un viavai di gente a passeggio. Vi erano giostre multicolori e venditori di dolciumi. Tripoli era una fiera popolare. Il vescovo ruotò il braccio: «Guardi come è bella la mia città». Quella sera mangiammo assieme in un piccolo ristorante libanese.
Nella sua chiesa, nel quartiere di Dhara, Martinelli mi aveva mostrato il grande affresco che raffigura l’incontro fra San Francesco e il sultano al-Malik. Storia di pace e coraggio negli anni feroci della Quinta Crociata. Oggi, come allora, abbiamo bisogno di pace e coraggio.
Quanto tempo è passato! Giovanni Martinelli, due anni fa, si rifiutò di lasciare la Libia nonostante le minacce dell’Isis. Raccontano che fu il solo italiano a rimanere nel Paese nel momento di maggior pericolo. Da pochi mesi, dopo trentadue anni, ha lasciato il suo incarico. C’è un nuovo vescovo. Si chiama George Bugeja, è francescano. Non ci sarà più quel piccolo ristorante libanese, ma un giorno mi piacerebbe tornare a Tripoli e mangiare assieme a lui. Begeja è maltese, conosce la meraviglia del mare.
I ragazzi della Libia, paese di mare e deserto, siederanno nuovamente di fronte al Mediterraneo.
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