Viaggio mediterraneo. Marsiglia, essere chourmo
Da troppi anni non vado a Marsiglia. E, all’improvviso, scopro che mi manca. Mi manca il mare, il Mediterraneo. Allora volevo scrivere un libro sulle città di questo mare. Era un alibi per viaggiare. Tra Marsiglia e Taranto, tra Tripoli e Alessandria d’Egitto, tra Haifa e Istanbul. È passato del tempo: oggi le rotte che solcano questo mare segnano la tragedia di popoli di migranti. Trentamila uomini, donne, bambini sono scomparsi nel Mediterraneo negli ultimi quindici anni.
Mi ostino a pensare che questo mare possa unire i cittadini delle sue sponde. A Marsiglia, grazie ai libri di Jean Claude Izzo, ho imparato una parola: chourmo. In lingua provenzale significa «ciurma, i rematori di una galera». Oggi chourmo vuol dire «immischiarsi». Non sei più di un quartiere, non sei più straniero. Sei chourmo. Sei nella stessa barca, ai remi. «Per uscirne fuori. Insieme». Sette marsigliesi su dieci non sono di origine francese, Marsiglia è un mosaico popolare di 111 Paesi. I mercati meticci hanno il sapore di «aglio, menta e basilico».
Mi dicono che Hassan, figlio di Algeri, non è più dietro il bancone del bar de Maraichers, luogo celebre dei libri di Izzo, ma la musica è sempre Brassens, Leo Ferrè e Jacques Brel. Hassan ascoltava solo la più bella delle musiche francesi.
Se ti fai sorprendere dal tramonto di fronte ai palazzi del Quai della Rive-Neuve puoi anche decidere che sei alla fine del tuo viaggio.
«Avevo bisogno di aggrapparmi a questi momenti di bellezza», ricordava sempre Izzo.
A Marsiglia puoi arrivare e pensare, per un momento quasi perfetto: «Ci sono. Questa è casa mia». Il mondo ha bisogno del Mediterraneo.