Saltatori di speranza
Parlare dei migranti, documentarne gli esodi e gli sbarchi par essere un’abitudine o quasi una moda anche per chi ha il compito di restituire al mondo queste storie.
Non per Les Sauters, film presentato in anteprima mondiale al Festival di Berlino 2016 dove ha ottenuto l’Ecumenical Jury Award e dopo essere stato selezionato in oltre 50 festival di tutto il mondo vincendo 15 premi tra cui l’Amnesty International Award.
Moritz Siebert ed Estephan Wagner, registi rispettivamente tedesco e danese, scelgono un’operazione diversa e coraggiosa. Di fronte al dramma di chi fugge dalla propria terra alla ricerca di un Eldorado che, pur improbabile, è sempre meglio del nulla, fanno l’unica cosa che dovremmo imparare a far tutti, registi e non: un passo indietro.
Siebert e Wagner decidono di far parlare, in prima persona, chi non ha né la voce nè tantomeno i mezzi per far arrivare la propria storia oltre i muri.
Così danno in mano una videocamera ad Abou Bakar Sidibé, proveniente dal Mali, che in Les Sauteurs è sia il protagonista che uno dei registi del film presentato venerdì 24 febbraio in anteprima nazionale all’Mpx di Padova dal regista Andrea Segre, che ne è distributore, insieme con lo stesso Abou in collegamento Skype dalla Germania.
«Fino a quel momento non avevo mai usato una videocamera - afferma Abdou rispondendo alle domande del pubblico -. Dapprima l’ho fatto per soldi, poi ho capito che era importante documentare l’attesa di amici, fratelli che lì, sul monte Gurugu, attendono di raggiungere l’Europa, saltando oltre un muro di ben tre recinzioni. In molti non ce la fanno, si feriscono col filo spinato o vengono picchiati a sangue dalla polizia. In tanti ci rinunciano e tornano indietro».
Sono oltre un migliaio i rifugiati, per lo più provenienti dalla regione sub-sahariana, che vivono in un centro ai piedi del Gurugu, monte che si affaccia sull’enclave spagnola di Melilla. Da qui sono in molti a tentare di attraversare la frontiera terrestre tra il Marocco e la Spagna. Abou è uno di loro. Da 15 mesi vive lassù quando i registi Siebert e Wagner lo contattano.
Gurugu, come possiamo immaginare e come le immagini di Abou ci raccontano, non è una foresta rigogliosa, ma una sorta di giungla dove l’uomo, in mancanza di tutto a cominciare da cibo e acqua, si abbruttisce per forza.
Eppure, proprio la telecamera di Abou, all’inizio maldestra ma ferma sulla realtà, finirà per restituirci uno sguardo inedito, e potente nella sua autenticità, su questo monte del dolore e della sofferenza, della speranza e della disperazione, del tempo dell’attesa sospeso tra un salto e l’altro.
Saranno proprio queste pause a mettere l’uomo al centro, tessendo in maniera genuina quell'umanità, fatta spesso di piccole cose, che non ci si aspetterebbe mai in questo luogo. Una improvvisata partita di calcio su un rettangolo di gioco arido e polveroso restituirà volti, storie, sorrisi. E ancora: altrettante improvvisate sessioni rap, alla stregua di intensi gospel, racconteranno tutto il dramma di questi giovani.
Il film distribuito in Italia, con la collaborazione di I Wonder Pictures / Unipol Biografilm Collection, da ZaLab che da anni si contraddistingue nella promozione delle migliori opere internazionali sul tema dell’immigrazione, è accompagnato nelle anteprime, prossimamente anche a Milano e Roma, in Veneto dal regista Andrea Segre in veste di distributore assieme a Abou Bakar Sidibé in collegamento dalla Germania.