Gli italiani d’Argentina progettano il futuro
Jorge Luis Borges, il più grande scrittore argentino di tutti i tempi, soleva dire una frase che gli italiani d’Argentina ripetono con malcelato orgoglio: «A volte non mi sento argentino: non ho né sangue né cognome italiani». Insomma, come dire che l’Argentina è una sorta di altra Italia oltre l’Italia. Ne è convinta María Inés Tarelli (nella foto in basso, la seconda da sinistra), coordinatrice del gruppo Laboratorio idee Italia-Argentina (LIA), un think tank di giovani professionisti, scienziati, artisti, ricercatori universitari, accomunati dall’origine italiana e da studi in tutto o in parte realizzati in Italia. Nato con l’appoggio del Consolato italiano, LIA ha come fine quello di «mettere a disposizione le competenze e le esperienze di ciascuno per facilitare progetti di collaborazione tra i due Paesi a tutti i livelli: economico, tecnologico, formativo, sociale, culturale».
L’italianità è così pervasiva nel tessuto socio-economico argentino, spiega Tarelli, che è ormai difficile distinguerla. «Io stessa, che sono nata a Buenos Aires, ero italiana ancor prima di esserne consapevole». La storia conferma la percezione: complici le grandi migrazioni dell’Ottocento e Novecento, oggi il 50 per cento degli argentini, per dirla alla Borges, ha sangue italiano nelle vene. «Gli italiani della prima ora fondarono qui centinaia di associazioni che aiutarono la socialità e l’integrazione nel nuovo Paese. Ma oggi non ci si può fermare a questo, si deve guardare al futuro». E il futuro è fatto anche dalle centinaia di nuovi italiani che hanno ricominciato ad arrivare in Argentina negli ultimi anni. «Un’emigrazione completamente diversa, di cui poco o nulla si sa». Non a caso il primo progetto di ricerca del LIA è proprio un’analisi qualitativa sulla recente migrazione italiana nel Paese (Epica).
Ne esce uno spaccato inedito: l’Italiano tipo ha tra i 25 e i 39 anni, viene da gran parte delle regioni italiane, ma soprattutto dalla Lombardia. Il 70 per cento ha una laurea, il 67 per cento ha fatto altre esperienze lavorative all’estero, il 75 per cento ha un lavoro. Ma ciò che è più significativo è che oltre la metà ha lasciato un impiego in Italia per trasferirsi in Argentina. Segno che il nostro Paese non è in grado di offrire posizioni adeguate ai titoli di studio, cosa che il 74 per cento degli intervistati dichiara invece di aver trovato nel nuovo Paese. Oriundi e italiani in Argentina hanno quindi un nuovo futuro davanti e alle spalle la preparazione, l’esperienza e le competenze per costruirlo insieme.
Ma hanno dalla loro anche un nuovo contesto: il presidente della Repubblica è oggi l’italo-argentino Mauricio Macri, mentre il papa è Bergoglio, l’ex arcivescovo di Buenos Aires, figlio di immigrati. C’è insomma un nuovo fermento, sottolineato anche da due recenti visite ufficiali: quella dell’ex premier Renzi e quella del presidente Mattarella, lo scorso maggio. «In questi ultimi mesi – spiega Tarelli – sono stati siglati diversi accordi di collaborazione in campo tecnologico ed economico. L’Italia è in prima linea per intensificare i rapporti tra Mercosur (Unione di alcuni Paesi latinoamericani) e Unione Europea. Le due nazioni condividono anche lo stesso tessuto economico, fatto di piccole medie imprese. Il futuro sembra promettente».
Il connubio italo-argentino funziona anche a livello sociale: «Qui gli italiani si sentono a casa. Stanno nascendo tante nuove forme di socializzazione. Dalle più complesse, come la nostra, fino agli aperitanos, dal nomignolo benevolo con cui gli argentini chiamano gli italiani. Si tratta di spritz organizzati in locali diversi di Buenos Aires, grazie al tam tam dei social media».