Il valore che trascina
«Mentre (Fernando) stava riflettendo a come realizzare il suo disegno (di martirio), ecco venire a Santa Croce per elemosina alcuni frati minori, poveri per amore di Cristo, che dimoravano nei pressi di Coimbra. Appena l’uomo di Dio li ebbe scorti, non poté più contenersi, e condottili in disparte, confidò loro interamente il suo ideale». (Dalla Vita di Sant’Antonio, detta Rigaldina)
«Non ci sono più i valori!». Chi non conosce il ritornello con il quale si vanno a rimproverare famiglia, scuola, Chiesa, politica, informazione (o deformazione) dei media, per lo sbando culturale in cui si naviga? Ma si sa che questi artifici che chiamiamo «valori» di per sé non esistono e quindi non si possono comprare, cedere o rimpiangere. Esistono, invece – eccome! – persone di valore che attirano e convincono, perché libere, oneste, propositive e umili.
Anche il giovane monaco Fernando – che diventerà il nostro Santo di Padova – ebbe la grazia di incontrarne. Ne aveva un gran bisogno, come d’altra parte ne hanno sempre bisogno i giovani. Era «in crisi» in quel 1220, appena ordinato sacerdote. Aveva una gran voglia di lavorare per il Signore, ma gli spazi d’azione erano troppo angusti.
La notizia che cinque penitenti di Assisi erano morti per la fede in Marocco, lo marchiò nel cuore. Anch’egli, come altri del suo tempo, temeva i musulmani. Non aveva ancora pensato di poterli incontrare ed evangelizzare in modo non aggressivo (come invece facevano i crociati), quando incontrò i figli del poverello di Assisi che erano stanziati in un tugurio fuori Coimbra, e che appartenevano alla «compagnia» di quei cinque martiri. Essi risposero alle sue domande con qualche parola e con l’esempio.
La vita nel ben provveduto monastero non era paragonabile con quella di questi uomini poverissimi e questuanti. Fernando era un «dottore» della Bibbia, poteva avere aspirazioni maggiori. Ma quei fraticelli male in arnese gli comunicavano l’ardore di cui aveva bisogno. Erano uomini innamorati di Dio e della storia.
Anche Fernando vedeva la Chiesa come una sorta di «ospedale da campo» – come si direbbe oggi con papa Francesco –, col solo potere e privilegio di servire. Ma a chi compete partire, uscire per evangelizzare? È il problema di sempre nella Chiesa, dopo ogni movimento di riforma e a ogni giro di secolo.
Fernando fece sua la provocazione, come avevano fatto pochi anni prima Francesco, Chiara, i nostri cinque martiri e altri ancora, e condivise con loro il sogno che il mondo fosse conquistabile al bene con il bene, con Gesù, su strade non ancora battute. E pensò che valesse la pena giocarsi tutto, perché quei ragazzi fuori Coimbra erano davvero troppo felici.
I «valori» di cui parlavamo all’inizio avevano per Fernando (e per i frati di Coimbra) un nome: frate Pietro, frate Accursio, frate Beraldo, frate Ottone, frate Adiuto, giovani, forti e generosi. Erano partiti non per andare «contro» i fratelli dell’Islam, ma per andare «tra» loro, in modo semplice e pacifico. Erano dei santi, e Fernando sentì il desiderio di essere come loro.
Persone valorose ce ne sono anche oggi: trascinano con il loro esempio e si dedicano al proprio dovere in un quotidiano che spesso è autentico «martirio». Perché sono sbilanciate su Cristo, fomentatore di passioni di cui abbiamo un bisogno vitale.