Carnevale, tempo di...
Febbraio è il mese del Carnevale. Come molte ricorrenze, anche questa è stata assorbita dall’universo del consumo e resa equivalente a tante altre, da Halloween a San Valentino. Ovvero, neutralizzata nel suo significato e nella sua capacità di contribuire al senso di identità di una comunità, ma anche alla sua consapevolezza, al suo senso della giustizia.
Perché il Carnevale è una festa pagana con radici antropologiche profonde, che poi è stata «incorporata» nel calendario cristiano come l’«eccesso» che precede il «vuoto» della Quaresima da attraversare per gustare pienamente la gioia della Resurrezione. Una inclusione possibile, dato che niente di ciò che è pienamente umano può essere ritenuto estraneo alla fede o, peggio, suo nemico.
Il Carnevale è il momento dell’eccesso ritualizzato e reso festa comune; della trasgressione insieme liberata e controllata dentro un tempo e dei codici condivisi. Soprattutto, è (era) il tempo in cui i ruoli si possono ribaltare, in cui gli esclusi diventano re e regine e i potenti sono sbeffeggiati, anche se solo per un giorno. Il tempo in cui ci si mette nei panni dell’altro, con una mossa che riconosce insieme i ruoli sociali come costruzioni umane e la possibilità di prendere le distanze, metterli in discussione.Se sapessimo tornare a questo senso profondo e alla collocazione in un calendario che ne fa una tappa e non un valore in sé, forse sapremmo vivere con più consapevolezza e più giustizia questo tempo.