Il creato, custodito, ci custodisce
Per il mese di settembre, il mese del Creato, la nostra diocesi ha organizzato una festa proprio l’8 settembre, natività di Maria, che si intitola, appunto: «Fare il pane con Maria di Nazaret».
L’obiettivo è quello di ricuperare l’arte del pane nei borghi antichi, rifacendosi anche al bel messaggio della Cei in occasione della XIV giornata per la Custodia del Creato che si celebra in questo settembre: «“Quante sono le tue opere, Signore” (Sal 104, 24). Coltivare la biodiversità». Perché fare il pane significa anche custodire la biodiversità. Basti pensare alle tante tipologie di pane che conosciamo: con le olive, le noci, i pomodori secchi, i semini… Uno spaccato di biodiversità, insomma, già a partire dalle nostre cucine.
Sullo sfondo di questo messaggio dei vescovi c’è già lo sguardo all’Amazzonia, protagonista del prossimo Sinodo di ottobre, dal quale si attendono cose belle e vivaci. Già a partire dalle linee fondamentali, che ruotano proprio attorno a questo sguardo nuovo: la biodiversità è una scuola! Perché ci permette di ricuperare in pieno l’enciclica Laudato si’ nella sua perenne attualità.
La scorsa estate, mentre a Pescara cadevano disastrosi chicchi di grandine, grossi come arance, tanti di noi hanno ripensato a quelle pagine di papa Francesco: solo se coltiviamo il creato, avremo futuro. Il creato, custodito, ci custodisce. In un triplice gioco di bellezza e di delicatezza: Se il nostro cuore è limpido, anche il corpo è bello e il creato è custodito! Tre «C», quelle delle parole cuore, corpo, creato, che spesso sottolineo ai ragazzi nelle scuole, ed essi mi seguono con occhi attenti. Perché i ragazzi sono sensibilissimi a questo tema. E dinanzi a loro ci dobbiamo porre una precisa domanda: «Stiamo costruendo una rete di salvezza o una ragnatela di morte?». La risposta a questa domanda ci viene indicata proprio dalla biodiversità. Infatti Dio, nella sua affettuosa fantasia creatrice, non ha creato nulla col fotocopiatore. Ogni cosa è differente, con propri colori, sapori, immagini, ambienti, forme. Tutte belle, tutte preziose e delicate. E tutte interconnesse, per cui se ferisco una semplice creatura, colpisco l’intero creato.
Tre allora le parole educative che questo rispetto della biodiversità mi propone: ammirare, rispettare e imparare.
Ammirare, con stupore crescente. Il Salmo 104 ne detta le piste: «Quante sono le tue opere, Signore! Le hai fatte tutte con saggezza; la terra è piena delle tue creature». Ecco la poesia, la preghiera, lo stupore per un fiore, la perfezione del nostro cuore, la gioia di una fonte freschissima sul Matese! Impariamo allora anche a rispettare tale biodiversità, la ricchezza del creato. Ad averne cura gelosa in mille gesti di tenerezza e custodia. Ricordo un devastante incendio in Calabria. La gente si salvò dalla caduta rovinosa di un masso, rotolato dal Castello su Roccella, perché esso fu fermato da un grosso olivo, che a sua volta era stato salvato dall’incendio proprio per la sollecita cura dei cittadini. La gente ha salvato l’olivo. Ma l’olivo ha salvato la gente! E, infine, questa attenzione alla biodiversità si fa scuola. Impariamo da essa a rispettare non solo il creato, ma ancor più le relazioni sociali fraterne. Impariamo a non scacciare nessuno. A non omologare. A non giudicare nessuno; anzi, a valorizzare la diversità di carattere, di lingua, di cultura. Non chiuderemo allora i porti. Anzi, ringrazieremo per la cultura che i migranti ci portano, negli antichi mestieri che ci fanno riscoprire, per il pane che sanno fare. Proprio come è accaduto a Riace: tutto partì da quel pane buono con cui i curdi volevano benedire la gente di Calabria che li aveva salvati dalle onde minacciose del mare Ionio! Perché il pane è buono per tutti. Si fa pace, bellezza e pienezza, in risposta immediata alla domanda grave: «Qual è la nostra Amazzonia?».
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