31 Maggio 2020

800 anni portati bene

L'anniversario del passaggio di Antonio dai canonici regolari agostiniani ai frati minori ci permette di ringraziare il buon Dio di averci donato in lui un grande amico, modello e intercessore, ma anche di rimettere un po’ le cose in ordine...
800 anni portati bene

©JeSuisLautre

Per i padovani, ma non solo per loro, noi frati minori conventuali della Basilica di Padova siamo ovviamente i «frati di sant’Antonio». Più sbrigativamente ancora i «frati antoniani». Se mi permettete un ricordo personale, quando rivelai a mio papà l’intenzione di farmi frate, egli, di origine veneta, cercò di convincermi a entrare tra le fila dei frati di sant’Antonio, eventualità che io, altrettanto ignorante, decisamente scartai. Salvo trovarmi ora a vivere proprio accanto alla tomba di Antonio… Il nostro è un così ingombrante santo che è dura spiegare che e noi e lui siamo in realtà frati francescani, di quelli fondati da san Francesco d’Assisi. Senza dire, tra l’altro, che quando lo era Antonio, l’ordine francescano non risultava ancora diviso nelle sue varie anime, che avrebbero dato infine vita alle tre famiglie del Primo Ordine (frati minori, conventuali e cappuccini, tutti osservanti la stessissima regola ma con tradizioni e attualizzazioni storiche diversificate). In realtà, però, sono convinto che né Francesco d’Assisi né Antonio di Padova si offendano più di tanto di questa devota confusione.

Certamente l’anniversario che quest’anno ricordiamo degli ottocento anni del passaggio di Antonio dai canonici regolari agostiniani ai frati minori – ormai l’avete capito seguendoci tra le pagine del «Messaggero» – ci permette non solo di ringraziare il buon Dio di averci donato in lui un grande amico, modello e intercessore, ma anche di rimettere un po’ le cose in ordine. Prendiamo, per esempio, il logo o, come lo chiamerebbero gli esperti, il brand che vedete un po’ stilizzato ogni mese sulle copertine della rivista o a caratterizzare le pagine antoniane all’interno della stessa. I nostri due santi vi vengono accostati tra loro, non confusi perché comunque ognuno resta un irripetibile originale e non semplicemente fotocopia l’uno dell’altro. A cominciare dai loro stessi nomi (interessante: per ognuno di loro era in realtà il «secondo» nome. Con quello di Giovanni, infatti, la mamma aveva fatto battezzare il figlio, finché Pietro di Bernardone, il papà, decise di cambiarglielo piuttosto in Francesco, in onore di quella Francia da lui percorsa come commerciante di stoffe; mentre del cambio del nostro da Fernando ad Antonio già sapete).

E poi con due dei loro simboli più riconosciuti. Il tau, l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico ma con la grafia che assume nell’alfabeto greco (τ), con cui san Francesco amava firmare le proprie lettere, memore di quello che sta scritto nella Bibbia, nel libro del profeta Ezechiele (9,4): «Il Signore gli disse: “Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e segna un tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono”». Segno perciò di salvezza e, infatti, non può non ricordare la Croce. Il bianco giglio, invece, per sant’Antonio, simbolo di sapienza e di purezza di cuore, o meglio l’uno e l’altro assieme: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). I due simboli si «incontrano» a formarne uno nuovo, rimando anche all’incontro che realmente avvenne tra i due santi, alla fine di maggio dell’anno 1221, in Assisi.

Ma il cammino di Antonio fu lungo, pieno di sorprese divine e incontri umani. Come le due piccole figurine francescane, ai bordi dell’immagine simbolo dell'anniversario, ci fanno intuire. Il numero speciale di giugno del «Messaggero di sant’Antonio», ci auguriamo ancora più bello del solito, è tutto dedicato a questo cammino. Cominciando niente di meno che dal messaggio che papa Francesco ha voluto inviare a tutta la grande famiglia antoniana. E perciò anche a ciascuno di voi, cari amici e care amiche!

Data di aggiornamento: 31 Maggio 2020
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