La radice è nel sogno
«La vestizione era appena compiuta, che uno dei suoi confratelli canonici accorse e, nel colmo dell’amarezza, proruppe “Va’, va’ ché diventerai santo!”. L’uomo di Dio, volgendosi a lui, gli rispose umilmente: “Ebbene, quando udirai dire che sono diventato santo, ne loderai il Signore”» (Assidua Cap. 5,9-10)
«Guarda che vanno scalzi anche d’inverno, poi fanno piantare i cavoli con le radici in su, e fanno fare il fuoco con la legna bagnata!»: furono queste le prime cose che la nonna mi raccontò di quei frati che vedevo nelle loro «questue» stagionali. Pur nella simpatia per quelle tonache dalle cui tasche uscivano santini e dolcetti, quei frati erano quindi per me esempi di un mondo alla rovescia. La nonna mi parlava pure di un frate che era stato celebre scultore: suo il Cristo della Sindone e il sant’Antonio morente a Vittorio Veneto, sue varie e ardite grotte di Lourdes. Anche lui, ora beato Claudio, era mandato alla ricerca di uva, fieno e pannocchie, per i frati e per i poveri: dall’Accademia delle Belle Arti di Venezia agli umili. Da bambino non ho mai chiesto a quei frati la verità sulla storia dei cavoli e della legna, perché ero sicuro che fosse così, altrimenti dove sarebbe stata la differenza, l’originalità, la «garanzia di qualità»? Da grande avrei poi letto di simili test vocazionali presso gli antichi monaci dei deserti e delle tebaidi, e ogni volta ho visto quella differenza che vorrei appartenesse anche a me, come bene prezioso, una riserva di possibilità.
Il nostro sant’Antonio, allora (1220) ancora canonico con il nome di don Fernando Martins de Bulhões, che cosa «vide» in quei discepoli di san Francesco che venivano a questuare alla pingue abbazia? Frate Antonio, nuovo nome per un sogno nuovo, corre tra i frati minori perché gli hanno aperto la via dei sogni. Infatti quei frati, che cosa avevano di più dei buoni canonici che pregavano, celebravano, curavano malati, accoglievano pellegrini, ricevevano sempre nuove reclute? Fernando aveva bisogno di un’altra «aria»; egli era un buon religioso, ma quei frati felici entrarono nel suo orizzonte come certi furbissimi algoritmi studiati per intercettare bisogni latenti. Vide in loro un nuovo prendere forma di Gesù Cristo: nella loro fraternità, nella loro dignitosa mendicità, nella loro libertà di «sognare» alla grande, fino ad acconsentirgli di mantenere la propria sete di martirio per Gesù. E, mentre ancora lo istruivano sulla loro vita, lo convinsero che bisognava partire con loro e subito, in poche ore, e la «burocrazia» eventualmente sarebbe venuta dopo.
«Diventerai santo» lo saluta l’ex con-canonico con un po’ di sarcasmo, e Fernando/Antonio risponde che gli basta essere felice. Poi frate Antonio sperimenterà che anche i sogni più belli rinascono dalle periodiche macerie, e che la strada per compierli non si alza per venirti incontro – come dice una benedizione irlandese –, e il vento non sempre ti spinge di spalle. Antonio sarà sempre grato a quei frati della prima ora (semplici come la gente, genuini testimoni di Qualcuno che attraverso di loro «si respirava») che hanno messo al sicuro la sua parte migliore, e vedrà il suo Cristo emergere vivo e vivificante nelle situazioni apparentemente più assurde. È più facile parlare ai pesci, far inginocchiare una mula affamata, far rivivere un bambino annegato, oppure accendere il fuoco con la legna bagnata? Credo che, fino a quando si crederanno possibili certe cose «impossibili», sarà tutto ok; poi – si sa – sono «cavoli».
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