Attenti all'acqua
Sono trascorsi appena due anni da quel drammatico 12 novembre in cui Venezia venne sommersa dall’«Acqua Granda»: 187 cm che hanno messo in ginocchio l’intera città, riproponendo l’annosa questione del delicato equilibrio che ne garantisce la sopravvivenza da milleseicento anni.
Ma Venezia non è la sola a dover fare i conti con i danni dell'acqua: basti pensare alle drammatiche esondazioni avvenute la scorsa estate in Germania, Belgio, Olanda e Cina. Certo, il clima sta cambiando, ma non è solo questo il problema. L’antropizzazione di molti spazi prima non abitati e la corsa all’edificazione hanno creato infatti numerose falle nella sicurezza pubblica.
Per chiarirci le idee, abbiamo posto alcune domande all’esperto di ingegneria civile, idraulica e idrodinamica Luigi D’Alpaos, professore emerito dell’Università di Padova, con il quale ci siamo soffermati pure sul «caso Venezia».
Msa. Professore, anche in Italia sono sempre più frequenti le esondazioni. Ma in un Paese come il nostro, definito dal clima temperato, l’acqua può essere considerata una nemica?
D’Alpaos. Sembrerebbe che frequenza e intensità di fenomeni estremi legati all'acqua stiano in effetti crescendo. La mia impressione è che, quando capitano, di questi eventi noi vediamo soprattutto gli effetti. E ho proprio la sensazione che gli effetti siano la conseguenza del modo con cui gli uomini hanno pianificato e utilizzato il loro territorio.
Ma quindi il dissesto idraulico e geologico è dovuto maggiormente agli interventi antropici che ai cambiamenti climatici?
Il comportamento dell’uomo ha un peso sicuramente non trascurabile. In passato si parlava sempre di eventi eccezionali. Poi si sono accorti che non era più il caso di definire eccezionali questi eventi che capitavano un giorno sì e un altro anche. Oltretutto non si valuta mai l’intensità del fenomeno, ma si giudica sempre la gravità degli effetti, e su quest’ultimo aspetto molto dipende da come l’uomo ha occupato il territorio che viene interessato.
Nello specifico, quali sono gli eventi legati alla responsabilità dell’uomo?
Dobbiamo distinguere soprattutto tra i fenomeni che colpiscono i grandi fiumi e i maggiori sistemi viari, e quelli che colpiscono la cosiddetta rete minore. Sicuramente la responsabilità di quanto accade a causa della rete minore è dell’uomo. In Italia, nel secondo dopoguerra, c’è stata una corsa selvaggia da parte di speculatori a occupare spazi, anche quelli che non dovevano essere occupati e chi aveva la responsabilità del governo del territorio quasi mai ha preso posizione contro queste iniziative. Bisognava invece avere il coraggio di opporsi. Basta vedere in che modo disordinato è cresciuta l’ultima urbanizzazione del territorio per rendersene conto.
Non solo la montagna e la pianura, ma anche le zone costiere sono soggette a inondazioni. Una delle aree più interessate al fenomeno è sicuramente Venezia con la sua Laguna. Secondo lei le opere di difesa della città d’acqua, il famoso Mose, interferiranno con la tutela ambientale del suo territorio?
Sarà inconciliabile poter salvaguardare la Laguna di Venezia, o meglio l’ambiente lagunare, e contemporaneamente difendere la città dalle acque alte. Sono due obiettivi che sono in antitesi e noi non potremo garantire entrambi. Con l’innalzamento del livello medio del mare al quale stiamo assistendo da qualche decennio a questa parte, e di fronte alle previsioni che ci aspettano nel corso di questo secolo, capiterà che le strutture del Mose dovranno essere manovrate un numero di volte che è assolutamente superiore a quello che il progettista aveva previsto. Le manovre potrebbero diventare anche trecento. Il numero delle chiusure diventerà abnorme, perché potremo mediamente chiudere la Laguna per circa duemila ore all’anno.
Venezia la scorsa estate ha ospitato il G20 e si è parlato più volte di renderla capitale della sostenibilità. A settembre, poi, la Camera ha approvato la conversione in legge del decreto «Grandi navi» sulla tutela delle vie d'acqua di interesse culturale e per la salvaguardia di Venezia, che vieta appunto il transito delle grandi navi in tali vie definite «monumenti».
La Laguna di Venezia è un ambiente unico e fragilissimo. Penso che il Governo abbia fatto bene a dire di estromettere dalla Laguna le grandi navi che, in verità, non avrebbero mai dovuto esservi ammesse. Ora hanno preso la decisione di portarle fuori da Venezia ma, in via provvisoria, di permettere ancora il loro ingresso in Laguna per ormeggiare alle banchine di Porto Marghera, ovviamente arrivando a tali banchine attraverso un’opera disastrosa che si chiama Canale Malamocco-Marghera, anche conosciuta come Canale dei Petroli. Questo canale è la nefandezza più grande che l’uomo del Novecento abbia compiuto ai danni della Laguna di Venezia.
Quali sono i rischi che ancora sussistono a riguardo?
Per permettere che queste navi entrino in Laguna attraverso il Canale dei Petroli, è necessario che venga quanto prima affrontata tutta una serie di problemi legati ad alcune criticità. A cominciare dal fatto che esse dovranno percorrere dentro alla Laguna un tracciato estremamente lungo che ha dimostrato di essere devastante per l’integrità e per la salvaguardia della Laguna stessa. Non basta soltanto predisporre, come mi sembra vogliano fare, gli attracchi alle banchine di Porto Marghera. Bisogna contemporaneamente, se non precedentemente, realizzare opere che neutralizzino dal punto di vista idrodinamico la loro presenza nel Canale dei Petroli. Vediamo oggi qual è stato l’imponente processo erosivo che il Canale ha determinato. Altro problema da non sottovalutare è quello della sicurezza della navigazione, perché il Canale dei Petroli è largo mediamente circa 70 metri e queste navi da crociera hanno larghezze che vanno dai 40 ai 50 metri. Lo spazio di manovra che resta a tali mezzi risulta quindi minimo. Basta un piccolo errore perché una di queste navi s’infili nei bassifondi e resti lì arenata. Questa probabilità di rischio non può essere sottovalutata.
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