All’altare del Santo
Entrare in Basilica ed essere accolti dalle solenni note dell’organo e dai canti della Cappella Musicale del Santo è un’esperienza unica. Succede spesso in questo luogo dichiarato, da san Giovanni Paolo II, «santuario internazionale», meta ogni anno di milioni di pellegrini provenienti da ogni parte del mondo. Chi lo visita, desidera «incontrare» sant’Antonio. Ciò avviene con una preghiera davanti alla tomba e con la partecipazione alla Santa Messa.
All’ingresso si resta colpiti dal silenzio e dalla straordinaria atmosfera spirituale che qui si respira. Lo sguardo va quasi d’istinto al presbiterio, situato alla fine della navata centrale. Ospita l’altare maggiore, realizzato dal Donatello tra il 1446 e il 1453 con un ricco corredo scultoreo in bronzo, comprendente il grande Crocifisso e ben sette statue. «L’altare è il luogo del sacrificio di Cristo ma anche lo spazio nel quale si ripongono le preghiere dell’umanità intera – spiega fra Andrea Massarin, vice rettore della Basilica e cerimoniere –. È il luogo dell’offerta. Ci ricorda che quel pane e quel vino rappresentano in qualche modo la nostra vita. Lì viene portata per essere trasformata dalla Grazia di Cristo».
Fede e vita
In concomitanza con le celebrazioni eucaristiche, la Basilica si riempie in brevissimo tempo. Volti e storie di un popolo che rinnova il proprio credo. Francesca entra con in braccio Marco, 4 anni. Il bimbo dorme con la testa appoggiata sulla spalla della mamma. Papà Davide spinge, invece, la carrozzella con l’ultimo nato, Riccardo, 7 mesi. «Portiamo la nostra vita e quella dei nostri figli all’altare – dice –. Sicuri che Dio non ci abbandona mai, nonostante le mille difficoltà di questi tempi». Dietro a loro due fidanzati, Manuele ed Elisa, si tengono per mano e si dirigono verso i primi banchi. «Entrare qui – confida Manuele – è come sentirsi sospesi tra Cielo e Terra. Portiamo all’altare le nostre preoccupazioni, i nostri progetti, sicuri che Dio non ci lascia mai soli. Ha dato la vita per noi». Anna, novantenne, è accompagnata dal nipote. Porta con sé un piccolo, ormai sgualcito, libretto di preghiere: «Vengo al Santo da sempre. Da bambina ci venivo con i miei genitori. Per noi, la Santa Messa era il vero pane. Lo è ancora».
Ogni giorno, dalle 6.30 del mattino e fino alle ore 19 è un susseguirsi di Sante Messe: una ogni ora. Tremila quelle celebrate nell’arco dell’anno, da oltre 35 frati. «L’altare – sottolinea il vice rettore – è sì il luogo del sacrificio, ma anche quello della comunione con Dio e in Dio con i fratelli. Fedeli di ogni etnia, lingua, nazione si riuniscono attorno a esso, per portare la propria vita, a volte sofferente, piagata e piegata». Qui vengono presentate le preoccupazioni legate al vivere quotidiano: famiglia, salute, lavoro. Ma viene anche riposta la gratitudine a Dio per tante situazioni risolte nel bene. «Esperienze – aggiunge fra Andrea Massarin – che testimoniano come la Grazia del Signore apra sempre vie nuove di speranza».
Nelle grandi festività religiose le celebrazioni assumono particolare solennità: Natale, Pasqua; il 15 agosto, festa di S. Maria Assunta; il 15 febbraio (se cade di domenica, altrimenti la ricorrenza viene solennizzata la domenica successiva), festa liturgica della Traslazione di Sant’Antonio, detta anche «Festa della lingua» a ricordo della prima traslazione avvenuta l’8 aprile 1263 a opera di san Bonaventura, che ritrovò in quell’occasione la lingua incorrotta del Santo. E il 13 giugno, festa di sant’Antonio e culmine delle celebrazioni antoniane. Ma anche la ricorrenza dell’Immacolata Concezione, patrona dell’Ordine francescano, viene festeggiata in modo solenne. «Verso la Madre di Dio – spiega infatti fra Massarin – c’è una particolare devozione che prende corpo nella tradizionale processione con la statua della Vergine Maria e la reliquia del Santo. Insieme passano tra i fedeli raccolti in preghiera. È l’incontro con un’umanità bisognosa d’intercessione».
«In ogni celebrazione, accanto a chi presiede l’Eucaristia, c’è sempre il servizio offerto da diversi fedeli che arricchiscono la liturgia. A partire dal coro, composto da laici e frati, fino ai lettori e ministranti che insieme collaborano ai vari momenti liturgici. È l’espressione – aggiunge fra Andrea – di un popolo che partecipa, secondo i propri carismi e ministeri, alla buona riuscita delle celebrazioni a Lode di Dio».
Abbraccio di fede
Oggi poi, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, i social, l’assemblea si allarga ancor di più, seppur virtualmente, diventando in certe occasioni internazionale, grazie alla diretta della Santa Messa trasmessa in streaming sul canale YouTube del «Messaggero di sant’Antonio». Ma fra Andrea ricorda anche i pellegrinaggi di gruppi etnici che, ogni anno, si ritrovano in Basilica per alcune importanti celebrazioni. Tra questi, la folta delegazione dei devoti originari dello Sri-Lanka presenti in Basilica ogni 1º maggio. E dei devoti di origine eritrea, la domenica successiva al 13 giugno, o di quelli di origine albanese, nazione in cui è molto diffusa la devozione al Santo. «Venticinque anni fa – confida il vice rettore –, all’inizio della mia scelta vocazionale, si pregava per i migranti durante la Tredicina, con la Messa dei popoli. Sembrava una realtà così lontana... In questa Basilica c’è sempre stata un’attenzione particolare per le persone migranti. Ieri come oggi. Questo è dovuto all’universalità della devozione a sant’Antonio. Oggi vengono in Basilica per celebrare l’Eucaristia persone da tutto il mondo, accomunate dall’unica fede nel Dio che salva. Tutte riunite intorno a quell’altare che diventa luogo di fraternità, condivisione e incontro. Al di là delle barriere e degli steccati che sembrano dividerci».
Una grande assemblea, variegata perché universale, unita nella fede in Dio e nella devozione a un Santo che ha messo il Vangelo e la carità al centro della sua vita. Un’unica voce, con un unico cuore. È la forza della preghiera condivisa, che diventa abbraccio di fede.
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